Malduin, 30/01/2011 22.46:
Ma il problema non è quello che fanno o non fanno le aziende, che raschiano dove riescono, e bene o male è merito loro se l'enorme catafalco chiamato Stato è ancora in piedi. .
"bene o male è merito loro se l'enorme catafalco chiamato stato è ancora in piedi". Mi sembra una impostazione un po' ideologica. Uno stato che si sostiene senza tassare operatori economici vuol dire o che è uno stato minimo/inesistente, e non si capisce come le imprese potrebbero resistere da sè senza infrastrutture, fondi statali, programmazione e quant'altro, oppure che è uno stato che si autofinanzia e allora non si capisce come potrebbe sopravvivere una qualsiasi impresa di capitale privato contro una impresa a capitale pubblico, per quanto inefficiente. Che poi siamo sicuri che l'impresa statale fosse poi così inefficiente? A me sembra plausibile che nell'Italia dei distretti produttivi, delle PMI gli unici soggetti in grado di agire globalmente e muovere grandi investimenti fossero le imprese statali (non dico FS, ma magari telecom, enel e tuttosommato anche alitalia era partita abbastanza bene salvo l'inspiegabile e tardivo cambio di rotta interrompendo la fusione con KLM).
Il problema è lo stato che non fa fronte ai problemi e tendenzialmente ha sempre evitato di farlo ricorrendo più possibile a soluzioni di comodo e a breve termine.
ma neanche le imprese fanno nulla! Le richieste delle PMI italiane (cioè la maggioranza del tessuto imprenditoriale) sono sempre state
1)meno diritti ai lavoratori. Nelle piccole imprese è realtà già da prima della legge Maroni/Biagi
2)minor costo del lavoro, ossia imbarcare immigrati da sfruttare
3)protezionismo dalla concorrenza cioè non solo dazi ma tutta una vasta gamma di marchi che potremmo riassumere come "made in Italy" che permetta una nicchia di mercato esclusa dalla concorrenza. Lo stesso ragionamento anche nella "middle class" delle professioni (farmacisti, avvocati, medici...).
4)meno tasse o almeno possibilità di evaderle, e cioè scaricare il costo del "catafalco chiamato stato" sui propri dipendenti. Per poi magare lamentarsi del cuneo fiscale
C'è anche da notare che sono state richieste puntualmente soddisfatte dallo Stato italiano anche nei periodi di massima espansione del welfare.
L'orizzonte però si fa sempre più grigio (per i fossili). Mesi dopo l'articolo (che è di giugno) noi sappiamo che la Francia ha deciso di risolvere i problema attraverso una massiccia riforma del sistema fiscale (non molto dissimile da quello che dice Tremonti, ma non ha ancora fatto). Questo lascia al governo italiano (indipendentemente dal colore) margine d'azione pressoché nullo....
Oddio sarà che le critiche ai tagli lineari (tutto il contrario di una riforma, momentaneamente diminuisce le spese ma causando paralisi della crescita ripropone la medesima situazione nel giro di qualche anno, chiedendo nuovi sacrifici=risorse) mi hanno molto convinto, ma mi pare che la "rivoluzione fiscale" del governo si riduca nel
1)avvantaggiare gli evasori: scudo fiscale (che solleva importanti problemi di giustizia, non solo fiscale e di politica economica) e una "caccia" a sempre meno evasori (anche se quelli presi, sono "più" escussi)
2)federalismo fiscale, una cosa piuttosto oscura, fumosa (di cui a breve metterò un altro articolo) che non mi sembra riguardi questo discorso
3)una cosa estemporanea di Berlusconi, mettere due aliquote cancellando sostanzialmente le tassazione più alte per i "superpatrimoni"
Le uniche proposte attive mi sembra siano venute dall'opposizione (anzi, riducendo il campo, da Bersani e basta): spostare la tassazione dal salario al prodotto, reintrodurre le norme antievasioni del governo Prodi (e che anche questo governo dopo aver tolto sta mettendo, alla spicciolata e spero con qualche vergogna).
Quindi insomma, lo Stato (in democrazia) non è un maccanismo autonomo e astratto, in qualche misura reagisce alle istanze che provengono dal basso, in questo caso le imprese. E sempre nelle imprese trovo la radice principale degli ostacoli alla crescita economica: spostare il costo dello stato sui lavoratori dipendenti impoverisce sia lo stato, che non può investire, sia i lavoratori cioè la domanda di beni e servizi. Le imprese italiane sono praticamente vetuste: appaltano la "ricerca" o a uno stato privo di risorse, o alla concorrenza in tal modo arrivando in seconda battuta e potendo solo competere sui costi del lavoro, che infatti tendono a comprimere in una lotta senza speranza con altri stati esportatori. Certo potrebbero "ammodernarsi" anzitutto crescendo di dimensioni in modo da poter investire e aumentare il valore aggiunto, ma non lo fanno perchè non vogliono correre i rischi dell'investimento e dunque meglio "raschiare" sulla vecchia via.
Riguardo al merito dell'articolo, comunque, il ragionamento mi sembra plausibile. Sul contesto internazionale i paesi che emergono lo fanno con aiuti di Stato più o meno diretti (dal costo del denaro usa, al capitalismo di stato cinese o al parasocialismo sudamericano), solo l'Europa rimane fissa sul "rigore". E' giusto preoccuparsi del debito ma va osservato che si è arrivati al rischio bancarotta di stato solo nel momento in cui i titoli di stato sono stati affidati al "libero mercato". In realtà i paesi che rischiano la bancarotta (che non sono per altro per forza di cose quelli indebitati, del resto anche una banca molto virtuosa se fosse assalita dal 100% dei correntisti che chiedono di chiudere il loro conto, fallirebbe) sono gli stessi le cui valute avrebbero rischiato un crollo verticale del loro valore. In pratica le dinamiche svalutative con l'introduzione dell'euro si sono trasferite dalle valute ai titoli di stato. Motivo per cui bisogna passare anche ai "titoli di stato europei". Cosa cui la Germania si oppone perchè il Tesoro tedesco avrebbe dei titoli meno redditizi (il valore sarà una media tra paesi avanzati e non dell'area euro) di quelli attuali. Ma questo è proprio il ragionamento da "granducato di germania" che si critica nell'articolo.
[Modificato da DarkWalker 09/02/2011 12:38]
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