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il granducato di germania

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    DarkWalker
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    00 28/01/2011 17:07
    In questi giorni [giugno 2010] sta finalmente venendo alla luce lo scontro sotterraneo in corso tra Francia e Germania sulla strategia che l’Unione europea dovrà seguire per affrontare la nuova fase della crisi, dopo che gli interventi per il salvataggio del sistema bancario privato hanno finito per gravare pesantemente sui bilanci pubblici dei singoli stati. L’annullamento del vertice franco-tedesco di ieri, rinviato alla prossima settimana senza fornire giustificazioni di alcun tipo, lascia trasparire la crescente irritazione francese per le scelte politiche della cancelliera Merkel e del suo governo, ancora una volta incapace di assumere un’iniziativa di respiro europeo che possa ridare slancio all’intero continente. I fatti sono noti: l’attacco speculativo di cui è stata recentemente vittima la Grecia ha costretto quasi tutti i paesi dell’assai poco prestigioso club dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a mettere in cantiere pensati manovre di rientro con innegabili effetti depressivi sulla domanda interna. Ufficialmente, ciascuna correzione è stata presentata come un elemento imprescindibile per riportare i debiti pubblici sotto controllo ed evitare così nuove ondate speculative. In realtà, come mostrato da alcune recenti analisi empiriche, lo spread sui tassi di interesse, più che essere legato alla situazione debitoria statale (per altro assai variegata fra gli stessi Piigs), sembra dipendere soprattutto dalla dinamica dei conti esteri, che per tutti questi paesi si presenta da anni strutturalmente in deficit. Il motivo è semplice e abbastanza intuitivo: la presenza di disavanzi commerciali con l’estero lascia aperta la possibilità che l’area del Mediterraneo prima o poi decida di affrontare gli irrisolti problemi di competitività abbandonando la moneta unica e tornando all’antica e consolidata pratica delle svalutazioni competitive. Un rischio, questo, che finisce per ripercuotersi inevitabilmente sul differenziale dei tassi di interesse sul debito e quindi sulla possibilità dei singoli governi di far fronte ai futuri obblighi contratti.
    Le ragioni della scarsa competitività dell’area del Mediterraneo sono molteplici, non da ultimo alcune discutibili scelte di politica industriale che hanno visto alcuni paesi – e in particolare l’Italia – indebolire, se non addirittura distruggere, la manifattura pubblica, che costituiva l’unico campione nazionale capace di posizionarsi nei settori ad alto valore aggiunto. Ma non va dimenticato che, fra le cause esterne, vi è l’ormai nota strategia mercantilista e iper-competitiva praticata dalla Germania e basata da un lato su un livello di salari reali sistematicamente inferiore alla produttività del lavoro, dall’altro sulla costruzione di uno spazio industriale sovranazionale che ha permesso di delocalizzare tutte le fasi meno intensive della ricerca e più intensive di lavoro a basso contenuto tecnologico verso i paesi della Mitteleuropa e del Mediterraneo. Questa politica ha garantito alla Germania non solo la possibilità di sfruttare la crescente domanda di beni di investimento che arriva dalle economie emergenti (Brasile, Russia, India e Cina), ma ha anche permesso – proprio grazie all’introduzione dell’euro – di indondare di merci tedesche tutta l’Unione europea. Infatti, se da una parte la Germania importa prodotti intermedi dai paesi che fanno parte della sua filiera produttiva, dall’altra fornisce loro prodotti finiti con un evidente guadagno finale in termini di valore aggiunto. Il paradosso di questo meccanismo è che quella che viene da tutti definita la “locomotiva d’Europa”, il gigante buono costretto a caricarsi sulle sue solide spalle dozzine di piccoli e grandi paesi indisciplinati e poco competitivi, più che trainare la crescita europea si sta facendo trainare proprio dal gruppo dei Piigs, che infatti presentano tutti pesanti disavanzi commerciali nei suoi confronti. Una situazione debitoria che, nonostante le correzioni messe in cantiere dai vari governi, rischia di essere vanificata, se non di aggravarsi ulteriormente, a causa della decisione tedesca di varare una corposa manovra restrittiva da 80 miliardi di euro. Con questa scelta – come ha ravvisato anche Nouriel Roubini in una sua recente intervista a Repubblica – si finirà per deprimere l’economia dell’intero continente, determinando una interminabile corsa alla deflazione competitiva da cui saranno proprio i paesi meno avanzati tecnologicamente a uscire sconfitti, costretti a un crescente schiacciamento dei redditi da lavoro e dei diritti sociali per cercare di compensare la superiore competitività tedesca. La ferrea convinzione del governo di Berlino, ma anche della grande stampa e del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, che sia compito dei paesi debitori farsi carico del riequilibrio dei conti esteri si basa su un assunto irrealizzabile. Sarebbe come prentendere di far gareggiare un corridore già lento su un gigantesco tapis roulant. Anche profondendo il massimo dello sforzo, non solo non raggiungerà mai il corridore più veloce, ma rischierà prima o poi di dover abbandonare la gara, sopraffatto dalla fatica. Un ritiro che, nel nostro caso, determinerebbe il quasi sicuro naufragio della moneta unica e il ritorno alle valute nazionali.
    Nonostante sia chiarissimo che lo sfascio dell’euro danneggerebbe soprattutto la Germania, di nuovo vittima delle politiche di svalutazione competitiva in buona parte dei suoi attuali mercati di sbocco, le probabilità che il governo tedesco cessi improvvisamente di comportarsi politicamente come un Granducato ed economicamente come una versione occidentale della Cina sono piuttosto scarse. L’unica speranza di evitare il disastro sta nella possibilità di affrontare il problema in chiave europea, garantendo ai paesi impegnati nella ristrutturazione dei propri bilanci un livello di domanda interna capace di rendere meno doloroso e più duraturo il percorso di rientro. Ma per fare tutto questo ci vorrebbe una classe dirigente all’altezza degli eventi che purtroppo, in questa Europa a guida conservatrice, sembra essere merce piuttosto rara.



    il sonno della ragione genera mostri

    caro m'è il sonno, e il più l'esser di sasso
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    Malduin
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    00 29/01/2011 10:51
    "e in particolare l’Italia – indebolire, se non addirittura distruggere, la manifattura pubblica, che costituiva l’unico campione nazionale capace di posizionarsi nei settori ad alto valore aggiunto". Da quello che mi ricordo le "industrie di stato" erano un colabrodo di perdite e debiti, tranne dove agivano in regime di monopolio e l'inefficienza si traduceva quindi solamente in disservizi. Tralasciando il fatto che lo stato ha sempre difeso settori ed industrie "labour intensive" tendenzialmente ignorando lo sviluppo di settori ad alto valore aggiunto.

    " vi è l’ormai nota strategia mercantilista e iper-competitiva praticata dalla Germania e basata da un lato su un livello di salari reali sistematicamente inferiore alla produttività del lavoro". Salari che però sono ben più alti di quelli Italiani. Sarà mai che il problema non sono i salari tedeschi ma la (im)produttività Italiana? C'è da dire che negli anni passati la Germania ha fatto molte importanti riforme, tra cui ridurre notevolmente l'onere fiscale sul lavoro, con diretto impatto sui costi di produzione delle loro merci. Ma non c'è da gridare allo scandalo, c'è da fare lo stesso.

    Tralasciando il fatto che queste dinamiche sono vecchie di decenni. Negli anni '70 e '80 la musica era la stessa.

    Per curisoità, l'articolo arriva da "il Manifesto" o "Liberazione"?
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    Pius Augustus
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    00 29/01/2011 20:14
    in germania le industrie non fanno finta che il problema siano i lavroratori fannulloni, e fanno fronte ai veri problemi, la differenza è questa.





    « Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l'uno dall'altro e non vivono soli...
    a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto."
    George Orwell


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    Malduin
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    00 30/01/2011 22:46
    Re:
    Pius Augustus, 29/01/2011 20.14:

    in germania le industrie non fanno finta che il problema siano i lavroratori fannulloni, e fanno fronte ai veri problemi, la differenza è questa.


    Ma il problema non è quello che fanno o non fanno le aziende, che raschiano dove riescono, e bene o male è merito loro se l'enorme catafalco chiamato Stato è ancora in piedi. Il problema è lo stato che non fa fronte ai problemi e tendenzialmente ha sempre evitato di farlo ricorrendo più possibile a soluzioni di comodo e a breve termine.

    L'orizzonte però si fa sempre più grigio (per i fossili). Mesi dopo l'articolo (che è di giugno) noi sappiamo che la Francia ha deciso di risolvere i problema attraverso una massiccia riforma del sistema fiscale (non molto dissimile da quello che dice Tremonti, ma non ha ancora fatto). Questo lascia al governo italiano (indipendentemente dal colore) margine d'azione pressoché nullo....


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    Pius Augustus
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    Salvatiiii!!!
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    00 31/01/2011 23:27
    Re: Re:
    Malduin, 30/01/2011 22.46:


    Il problema è lo stato che non fa fronte ai problemi e tendenzialmente ha sempre evitato di farlo ricorrendo più possibile a soluzioni di comodo e a breve termine.






    sostituisci aziende a stato e avrai il quadro della situazione. Noi abbiamo due problemi, stato e aziende. E le seconde non sono meno ridicolmente inadeguate del primo (e moralmente sono anche peggio).





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    Salvatiiii!!!
    00 02/02/2011 22:03
    Re: Re: Re:
    Pius Augustus, 31/01/2011 23.27:




    sostituisci aziende a stato e avrai il quadro della situazione. Noi abbiamo due problemi, stato e aziende. E le seconde non sono meno ridicolmente inadeguate del primo (e moralmente sono anche peggio).



    vero, le aziende private non sono meno responsabili dello stato: si rifugiano nel protezionismo, appoggiano istanze anti-immigrati per avere manodopera a basso costo, al posto di affrontare i veri problemi (ricerca e innovazione) tagliano il costo del personale e, per finire, tendenzialmente investono i loro guadagni in attività "sicure" come il mattoni, immobilizzando i capitali e, quindi, mandando a puttane ( [SM=x751554] ) ogni possibilità di ulteriore crescita.








    Fra 30 anni l'Italia non sarà come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la TV
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    Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore


    Ennio Flaiano
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    Malduin
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    00 03/02/2011 14:00
    eh, ma chi gle lo da il Protezionismo?
    chi è che tollera, quando non approva e favorisce sfacciatamente, il lavoro nero (immigrato o meno)?
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    00 04/02/2011 18:04
    Re:
    Malduin, 03/02/2011 14.00:

    eh, ma chi gle lo da il Protezionismo?
    chi è che tollera, quando non approva e favorisce sfacciatamente, il lavoro nero (immigrato o meno)?



    ovviamente è colpa dello stato, è pura utopia sperare che l'impresa privata cambi atteggiamento così, lo stato deve guidare la crescita se no tanti saluti. ma questo vale per le piccole imprese, le grandi imprese infatti fra poco non esisteranno più perchè sono ridicole quanto lo stato. ha fatto bene quel falegname di como che ha regalato laboratorio, macchinari e impresa a un africano e gli ha detto di impacchettare tutto e portarselo via per lavorare in Ghana [SM=x751543]







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    Ennio Flaiano
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    DarkWalker
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    00 09/02/2011 12:37
    Re: Re:
    Malduin, 30/01/2011 22.46:


    Ma il problema non è quello che fanno o non fanno le aziende, che raschiano dove riescono, e bene o male è merito loro se l'enorme catafalco chiamato Stato è ancora in piedi. .




    "bene o male è merito loro se l'enorme catafalco chiamato stato è ancora in piedi". Mi sembra una impostazione un po' ideologica. Uno stato che si sostiene senza tassare operatori economici vuol dire o che è uno stato minimo/inesistente, e non si capisce come le imprese potrebbero resistere da sè senza infrastrutture, fondi statali, programmazione e quant'altro, oppure che è uno stato che si autofinanzia e allora non si capisce come potrebbe sopravvivere una qualsiasi impresa di capitale privato contro una impresa a capitale pubblico, per quanto inefficiente. Che poi siamo sicuri che l'impresa statale fosse poi così inefficiente? A me sembra plausibile che nell'Italia dei distretti produttivi, delle PMI gli unici soggetti in grado di agire globalmente e muovere grandi investimenti fossero le imprese statali (non dico FS, ma magari telecom, enel e tuttosommato anche alitalia era partita abbastanza bene salvo l'inspiegabile e tardivo cambio di rotta interrompendo la fusione con KLM).


    Il problema è lo stato che non fa fronte ai problemi e tendenzialmente ha sempre evitato di farlo ricorrendo più possibile a soluzioni di comodo e a breve termine.


    ma neanche le imprese fanno nulla! Le richieste delle PMI italiane (cioè la maggioranza del tessuto imprenditoriale) sono sempre state
    1)meno diritti ai lavoratori. Nelle piccole imprese è realtà già da prima della legge Maroni/Biagi
    2)minor costo del lavoro, ossia imbarcare immigrati da sfruttare
    3)protezionismo dalla concorrenza cioè non solo dazi ma tutta una vasta gamma di marchi che potremmo riassumere come "made in Italy" che permetta una nicchia di mercato esclusa dalla concorrenza. Lo stesso ragionamento anche nella "middle class" delle professioni (farmacisti, avvocati, medici...).
    4)meno tasse o almeno possibilità di evaderle, e cioè scaricare il costo del "catafalco chiamato stato" sui propri dipendenti. Per poi magare lamentarsi del cuneo fiscale

    C'è anche da notare che sono state richieste puntualmente soddisfatte dallo Stato italiano anche nei periodi di massima espansione del welfare.


    L'orizzonte però si fa sempre più grigio (per i fossili). Mesi dopo l'articolo (che è di giugno) noi sappiamo che la Francia ha deciso di risolvere i problema attraverso una massiccia riforma del sistema fiscale (non molto dissimile da quello che dice Tremonti, ma non ha ancora fatto). Questo lascia al governo italiano (indipendentemente dal colore) margine d'azione pressoché nullo....



    Oddio sarà che le critiche ai tagli lineari (tutto il contrario di una riforma, momentaneamente diminuisce le spese ma causando paralisi della crescita ripropone la medesima situazione nel giro di qualche anno, chiedendo nuovi sacrifici=risorse) mi hanno molto convinto, ma mi pare che la "rivoluzione fiscale" del governo si riduca nel
    1)avvantaggiare gli evasori: scudo fiscale (che solleva importanti problemi di giustizia, non solo fiscale e di politica economica) e una "caccia" a sempre meno evasori (anche se quelli presi, sono "più" escussi)
    2)federalismo fiscale, una cosa piuttosto oscura, fumosa (di cui a breve metterò un altro articolo) che non mi sembra riguardi questo discorso
    3)una cosa estemporanea di Berlusconi, mettere due aliquote cancellando sostanzialmente le tassazione più alte per i "superpatrimoni"
    Le uniche proposte attive mi sembra siano venute dall'opposizione (anzi, riducendo il campo, da Bersani e basta): spostare la tassazione dal salario al prodotto, reintrodurre le norme antievasioni del governo Prodi (e che anche questo governo dopo aver tolto sta mettendo, alla spicciolata e spero con qualche vergogna).

    Quindi insomma, lo Stato (in democrazia) non è un maccanismo autonomo e astratto, in qualche misura reagisce alle istanze che provengono dal basso, in questo caso le imprese. E sempre nelle imprese trovo la radice principale degli ostacoli alla crescita economica: spostare il costo dello stato sui lavoratori dipendenti impoverisce sia lo stato, che non può investire, sia i lavoratori cioè la domanda di beni e servizi. Le imprese italiane sono praticamente vetuste: appaltano la "ricerca" o a uno stato privo di risorse, o alla concorrenza in tal modo arrivando in seconda battuta e potendo solo competere sui costi del lavoro, che infatti tendono a comprimere in una lotta senza speranza con altri stati esportatori. Certo potrebbero "ammodernarsi" anzitutto crescendo di dimensioni in modo da poter investire e aumentare il valore aggiunto, ma non lo fanno perchè non vogliono correre i rischi dell'investimento e dunque meglio "raschiare" sulla vecchia via.


    Riguardo al merito dell'articolo, comunque, il ragionamento mi sembra plausibile. Sul contesto internazionale i paesi che emergono lo fanno con aiuti di Stato più o meno diretti (dal costo del denaro usa, al capitalismo di stato cinese o al parasocialismo sudamericano), solo l'Europa rimane fissa sul "rigore". E' giusto preoccuparsi del debito ma va osservato che si è arrivati al rischio bancarotta di stato solo nel momento in cui i titoli di stato sono stati affidati al "libero mercato". In realtà i paesi che rischiano la bancarotta (che non sono per altro per forza di cose quelli indebitati, del resto anche una banca molto virtuosa se fosse assalita dal 100% dei correntisti che chiedono di chiudere il loro conto, fallirebbe) sono gli stessi le cui valute avrebbero rischiato un crollo verticale del loro valore. In pratica le dinamiche svalutative con l'introduzione dell'euro si sono trasferite dalle valute ai titoli di stato. Motivo per cui bisogna passare anche ai "titoli di stato europei". Cosa cui la Germania si oppone perchè il Tesoro tedesco avrebbe dei titoli meno redditizi (il valore sarà una media tra paesi avanzati e non dell'area euro) di quelli attuali. Ma questo è proprio il ragionamento da "granducato di germania" che si critica nell'articolo.
    [Modificato da DarkWalker 09/02/2011 12:38]



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    00 12/02/2011 17:20
    Non concordo su quasi nulla :P
    Ideologia a parte, non avendo un azienda, non posso che considerare lo Stato come unica "variabile libera" del sistema. Di aziende ce ne sono tante, in un contesto di libero mercato normale (quindi non quello italiano) quelle che fanno scelte errate falliscono o vengono assorbite, e quelle che fanno le scelte migliori sopravvivono e si espandono. Portando sul lungo termine ad un trend positivo.

    A me parte di ricordare che i bisonti di stato avessero proprio il problema degli investimenti, ovvero essendo compagnie in perenne perdita (salvo forse ENI e ENEL) non erano assolutamente in grado di attirare capitali privati ed i grossi investimenti che muovevano erano tutti soldi pubblici. Telecom viveva grazie al fatto di essere monopolista ed offrire servizi da terzo mondo. Rigurado alla fusione Alitalia KLM è la seconda ad aver "rotto", preferendo la bancarotta piuttosto che la fusione con Alitalia, dopo aver odorato come funzionavano le cose in Alitalia.

    Le "quattro richieste" dovrebbero esser stati quattro no da parte dello stato, soprattutto la 3 e la 4. La 1 e la 2, ma diciamo "gli stipendi" sono soluzioni di breve periodo. Uno stato con una politica industriale dovrebbe superare queste cose sul lungo periodo, ovviamente se non c'è non si può che andare avanti continuando a tagliare.

    I tagli linari sono una cessata, fatta solo perchè in Italia se si fanno tagli alle inefficienze non si prende più mezzo voto da Roma in giù, visto che esse hanno una lampante espressione geografica.
    1) lo scudo fiscale è una porcata.
    2) il federalismo fiscale, per quello che ho letto, mi piace, anche se lo considero un po' troppo light. Rischia di essere la solita gattopardata con pomodorini e mozzarella..
    3) l'idea delle due aliquote è che le tasse sul reddito dei lavoratori si traducono "prezzi dei prodotti", quindi vanno tagliate il più possibile, mentre si possono tassare benissimo gli altri. Da qui i due livelli "alla tedesca" 16% sotto i 50k€ e 45% sopra. Poi si ribilancia appunto tassando i prodotti se manca qualcosa. L'idea è giusta, ma più che venire dall'opposizione è un altra delle soluzioni messe in atto dai tedeschi (e non solo) negli anni recenti.

    Riguardo all'emergere e l'aiuto di stato, tutto dipende da cosa si intende per "aiuto di stato". Una sana politica economica si. I prestiti a fondo perduto per tenere in piedi aziende fallite o stabilimenti improduttivi NO.
    La banca virtuosa non credo fallirebbe affatto, esiste una banca centrale che fa normali operazioni di rifinanziamento ed iniezioni di liquidità. Ovvio che c'è qualche problema quando non si parla di "banca virtuosa" ma di banca Zombie.

    Questo si lega anche alle questioni relative all'Eurobond o come volgiamo chiamarlo, esso può risolvere i problemi di "liquidità", ma di per se non risolve quelli di "solvibilità". Se lo si introduce deve essere all'interno di un progetto molto più ampio. Poi dei problemi dell'UE se ne potrebbe parlare a lungo, additare solo la Germania mi sembra un po' fuori luogo. Ma parlando di casa, che la si conosce meglio, direi che il problema non è certo l'UE o la politica economica tedesca...
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    Malduin
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    00 27/02/2011 23:41
    Tornando sul "Granducato di Germania".

    Sussistono in Germania anche problemi di natura "costituzionale". Li il budget dello stato è materia costituzionale (visti i trascorsi della rep. di Waimar) e la costituzione tedesca.....non è emendabile. Tutto ciò pone strettissimi vincoli all'azione del governo tedesco se non vuole vedere le sue leggi cestinate dalla corte costituzionale.

    L'idea del "una moneta" "un bond" è di per se corretta...ma dovrebbe essere "un (o stato) sovrano" "una moneta" "un bond".

    E gli Stati Uniti d'Europa (il sovrano) sono attualmente difficili da fare, e non tanto nè solo per colpa dei tedeschi...