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La mia prima volta a Cuba..(prima parte)

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    islagerona.
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    00 10/12/2010 20:23
    by Francesco A.


    Ovvero, come mi ha cambiato Cuba




    Splendeva nel mio calendario il fantastico mese di giugno datato1994. Un caso fortuito volle proprio che l’agenzia consigliata da amici di amici e di amici ancora, si trovasse per motivi oscuri in “panne”, con la destinazione che avevamo prescelto per le vacanze di quell’anno: il Portogallo. Io, Davis , David e Alberto eravamo incazzati fino al midollo. Dopo una serie di forbite “parolacce”, con un tono di rammarico ed una mal celata incazzatura per le spese supplementari che l’agenzia doveva accollarsi, ci proposero di andare a Cuba.

    Che culo…pardon che fortuna.

    Venne la fatidica mattina dell’imbarco, un sole primaverile aveva stretto alleanza con una frizzante brezza tipica di stagione, ed i due alleati ci davano come in una sorta di rituale mistico, un gentile arrivederci.

    Arrivammo a destinazione.

    Dopo le lunghissime 12 ore di viaggio finalmente, prendemmo nuovamente possesso delle nostre articolazioni inferiori, intorpidite dalla lunga seduta sull’aereo. Per me era la prima volta che i miei glutei rimanevano incollati ad un sedile per così tanto tempo, e soprattutto oltrepassavano l’oceano atlantico. A dir la verità in Italia il freddo oramai aveva fatto capolino assieme ai colori tenui del sole tipici della stagione invernale, ma la sensazione di caldo che provai un secondo dopo l’uscita dall’aeromobile fu oltremodo memorabile. Finalmente eravamo a Cuba. Ora tutti i programmi di viaggio che ci eravamo prefissati, trovavano nella luce abbagliante del sole caraibico uno splendente avvio.

    Arrivammo all’hotel QuatroPalmas a Varadero.

    L’essere ancora rincoglioniti per il cambio del fuso orario, non servi da deterrente, ed un primo cubalibre made in Cuba, si estinse in questione di secondi. Sistemati i bagagli (per modo di dire e richiamato all’ordine il trio di “desperados” che mi seguivano in questa avventura, andammo senza se e senza ma a perlustrare le calles cubane, per finire dopo qualche istante parcheggiati in un piccolo bar a bordo strada, dove si poteva a quanto pare rinvigorire le membra. Forti di un luogo comune che affermava che per non soffrire il caldo si doveva portare la temperatura corporea agli stessi gradi di quella esterna, e vista la fatale scoperta che il buon ron cubano ha la stessa gradazione, bevemmo una serie di bicchierini… effettivamente non sudammo neanche una goccia di sudore…ma un mal di testa il giorno dopo.

    Arrivò la tanto attesa notte.

    Dopo aver chiesto qualche consiglio al personale dell’albergo, decidemmo di “deflagrarci” i timpani in una discoteca di Varadero, il Carribean Club. Eravamo stranamente gli unici italiani, in compenso un assonnato barista ci salutò con gentilezza, domandandoci come di rito la nostra provenienza. La discoteca era semi deserta ed uno split per l’aria condizionata, situato esattamente sopra le nostre povere teste, sembrava essere collegato direttamente con il polo nord. Lo giuro…! era la prima volta che ascoltavo una salsa cubana, a Verona erano i primi anni del oramai plurifamoso fenomeno latino, e quello che si sentiva nelle poche discoteche a tema era solamente qualche brano antico risalente all’epoca di Josè Martì.

    La prima notte a Cuba tra rinnovati brindisi ed improbabili accenni ad una serietà oramai persa passò, e verso l’alba con un retrogusto al cianuro andammo a dormire.

    La mattina seguente era calda ed afosa, la piscina dell’hotel era quasi deserta, l’oceano spumeggiava brillando con riflessi cobalto e d’oro che si mescolavano tra loro dando vita ad una danza ancestrale.

    Che si fa? La scelta era ovvia. Lasciammo l’odore acre del cloro della piscina alle nostre spalle , per abbracciare con gioia la meravigliosa salsedine del mar del caribe. Dopo una spalmata di crema protezione 1000 che solo Caory avrebbe potuto far meglio, mi adagiai sullo sdraio incredulo di assistere in prima persona ai fasti straordinari che la natura cubana ti sa offrire. Venne con naturale approssimarsi l’ora di pranzare. Erano all’incirca le 2 del pomeriggio, ed il banchetto infinito dell’hotel ci aspettava. Terminato il pranzo decidemmo io ed Alberto, uno dei quattro “desperados”, di far visita ad un piccolo paese vicino a Varadero; Santa Marta. In effetti il contrasto tra i due paesi fu alquanto devastante..ma la cosa quella mattina ci disturbò assai poco…anzi l’accoglienza di quattro giovanotti baldanzosi del posto, che viaggiava lungo il filo del loro tornaconto, servi seguendo sempre il famoso luogo comune che sopra citavo, a far indolenzire i nostri fegati.

    La prima settimana passò in un baleno, ora eravamo acclimatati e quel senso di “nebbia” mentale che avvolgeva le nostre menti, prodotta dalla stanchezza del fuso orario, era oramai svanita. Il countdown del ritorno inconsapevolmente era già partito ufficialmente, ma dentro di me cercavo di non dare adito a quel senso di ansia che ti prende in queste occasioni.

    Non ricordo esattamente se fu di venerdì o sabato, so solo che in una ora dove l’abitudine solitamente mi vuole al lavoro, incontrai l’essenza della mia vita tra le righe di un poeta, che in quel periodo assolutamente non conoscevo, Jose Martì…

    LAS PROSTITUTAS CUBANAS SON LAS MÁS CULTAS DEL MUNDO" Fidel Castro.
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    islagerona.
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    Utente Junior
    00 15/12/2010 18:22
    La mia prima volta a Cuba (seconda parte)
    Alberto, Davis e David i miei amici, rimasero fuori dalla bottega dove si vendevano tra le varie cose anche libri. Era inusuale per me trovarmi di fronte ad una cultura diametralmente opposta, sotto certi aspetti alla mia, e nei libri che sfogliavo trovavo la conferma del mio sconcerto. A dir la verità conoscevo ben poco anche di Fidel Castro, Ernesto Guevara, e Camilo Cienfuegos e trovarmi di fronte le loro iconografie mi lasciava imbambolato, quasi incredulo. Nel caso del CHE specialmente, quella che per me era fino a quel momento solo un banale stemma da applicare ai cupolini del vecchio motorino CIAO, ora era una realtà concreta, e lungo tutta la settimana che mi restava di vacanza, avrebbe preso una chiara connotazione.

    Penso che non fosse per caso che proprio quando mi trovavo sempre nella stessa bottega, i toni melodrammatici di hasta siempre comandante scritta e cantata dal bravissimo Carlos Puebla, accarezzavano i miei timpani.

    La mia “ingordigia” di conoscenza si stava impadronendo del mio essere, e come un moderno Cristofolo Colombo fui felice che il destino avesse dirottato la mia sorte verso una nuova terra, apparentemente sconosciuta e lontana.

    Acquistai dei libri, uno fra i tanti fu una raccolta di poesie di José Martì, ed è li che mi resi conto che la parola giusta nella famosa canzone non era “Agguanta la mela” ma ben si “Guantanamera” J.

    Apparte questa triste nota, ne rimasi folgorato. Nelle sue parole vi era tutta l’incandescenza dell’essere umano, il coraggio dell’altruismo nel rigore della barbarie, il voler far luce dopo secoli di buio, l’amore puro che cresce sano dal fango della schiavitù, l’amore per la patria che lo accompagnò fino al suo ultimo respiro.

    Insomma un nuovo mondo era veramente li che mi aspettava.

    Dopo una lunga passeggiata con i miei libri “sottobraccio”, e qualche altro suppellettile che di suo ha l’unica ambizione di raccogliere polvere, ritornammo all’hotel dove una lauta cena ci aspettava.

    Quella sera andammo a dormire di buon ora. All’indomani ci aspettava una sana ed alquanto desiderata gita in barca: destinazione Caio Coco.

    Venne giorno, il sole dal canto suo ci apparse bello come non mai, le stelle erano oramai assopite nascoste dalla cortina lucente del mattino. Arrivammo al porto. Una barca per turisti di medie dimensioni con a bordo de valenti marinai cubani ci diede il ben venuto. Salimmo con una certa emozione, dopotutto trovarsi nel bel mezzo del caribe non è cosa da tutti i giorni, e subito capimmo il nostro destino.

    Davanti a noi un uomo tarchiato di mezza età sedeva con un sogghigno a dir poco malefico. Era un friulano in vacanza, e nella sua mal celata sobrietà, ci offrì in tempo zero un cocktail di ben venuto: un gustoso e refrigerato cubalibre.

    Da l’esperienza acquisita nei lunghi dodici mesi di servizio militare fatto ad Udine, sapevo che il friulano tipo spesso ama inebriarsi (per usare un eufemismo), ne ebbi la conferma quando ci trovammo tutti e quattro, (il friulano non tocco neanche per un istante l’acqua … ovviamente) senza costume nella splendida battigia della spiaggia di Caio Coco cantando come dei pazzi e con i costumi a mo di bandana, dopo ovviamente aver ingurgitato assieme a lui all’incirca una dozzina [?] di questo delizioso ma stordente cocktail .

    Mi riferirono il giorno seguente che nuotai anche tra i colori ebbri ma non dannosi della barriera corallina e che salii per sbaglio sulla barca che ci seguiva, creando un certo imbarazzo tra i marinai che poveretti, badavano anche alla nostra incolumità …. che figura di mer…

    Passata questa indimenticabile giornata, ritornammo al nostro hotel. Eravamo un ammasso di carne abbrustolita dal sole.

    Il giorno seguente, tra un mancamento e l’altro, riprendemmo le facoltà motorie verso metà giornata, ma fu solamente una fugace conquista: il retrogusto a cianuro ricomparve, e fummo costretti a rincasare.

    L’indomani mattina di buon ora mi svegliai e rigenerato uscii dalla mia camera d’hotel lasciando tra le braccia di Morfeo gli amici, che neppure la dinamite riusciva a svegliare.

    Mi incamminai tra le pulitissime calles di Varadero, cercando una destinazione non ben definita. Forse il desiderio di non ritornare alla solita routine italiana e l’ansia che mi creava tutto questo mi fece camminare non so per quanto. Non ricordo esattamente fino a che punto di Varadero camminai, ricordo solamente che quel giorno incontrai la persona che cambiò inesorabilmente la mia vita: Valia…..

    Continua …..

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    islagerona.
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    Registrato il: 27/03/2010
    Utente Junior
    00 15/12/2010 18:24
    la mia prima volta a Cuba (terza parte)
    Ogni vacanza che si rispetti deve avere la sua colonna sonora. Nel giugno del 1994 la canzone che consacrò e che racchiuse nelle sue note tutti i miei ricordi di quella vacanza a Cuba, fu una bellissima canzone romantica di Cristian Castro: “nunca voy a olvidarte”.

    Ero fermo ad un incrocio lungo una calles di Varadero, aspettando che una vecchia Chevrolet del ‘59 passasse. Il fumo nero che nel partire sputava dalla rombante marmitta, mi fece tossire ed arrossire gli occhi, che chiusi quasi simultaneamente. Il mio sguardo dopo qualche istante ancora inumidito dal fumo, volle, rapito dai colori meravigliosi di una pittura di un artista di strada, adagiarsi tra i suoi colori, dove il rosso della terra ,il giallo del sole , l’azzurro del cielo si mescolavano tra loro creando un vortice d’autentica bellezza pittorica.

    Guardai l’orologio, si avvicinava l’ora di pranzo e decisi di far ritorno all’hotel.

    Un signore di mezza età era sul mio stesso cammino, e con un “fantasioso” spagnolo cercai di abbozzare una conversazione. Questo signore si chiamava Wilfredo, e viveva con tutta la sua famiglia poco distante dal punto dove ci trovavamo in quel momento. Wilfredo, mi invitò dopo una buona mezzora a prendere una frizzante birra cristal a casa sua. Meraviglioso… non mi era capitato mai nulla di simile in Italia, avevo la sensazione di conoscerlo da una vita, tanto la sua lucente cordialità sapeva mettermi a mio agio, ed accettai con piacere.

    Arrivammo a casa sua. La sua casa era piccola ma ben tenuta, e dopo qualche istante, l’iniziale “birretta” si trasformò in un generoso banchetto sotto la “pressione materna” di sua moglie Maria Elena. Ancora un po’ impacciato per l’inaspettata evoluzione degl’eventi, sedevo a tavola. Vicino a me Wilfredo mi cantava con enfasi le lodi del perfetto pescatore, la sua gran passione, ed io ascoltavo in assoluta contemplazione…d’altra parte rispondere con il mio spagnolo fatto di s messe alla fine di ogni parola era un impresa alquanto ardua. Venne il tardo pomeriggio e mi congedai. Nell’uscire tra baci ed abbracci rimanemmo d’accordo di ritrovarci dopo cena, anche perchè dopo il racconto che gli feci della mia prima settimana di vacanza,Wilfredo era curioso di conoscere i miei amici.Dopo qualche ora ero già di ritorno con il trio de “deperados”, e Wilfredo forte dei mie racconti preparò con dovizia una bottiglia di “aguardiente” ed un piattino di “ostiones” nel tentativo di contribuire allo “sfacelo” dei nostri fegati.

    Seduti a tavola incominciammo una squisita conversazione e dopo un po la musica immancabile in una festa cubana che si rispetti, toccava il cielo. Era assolutamente una serata meravigliosa.

    Verso le undici di quella sera rincaso la figlia maggiore di Wilfredo, Yohandra. Ad accompagnarla vi era un’amica dell’università nella quale studiavano entrambi, che in quel momento era ospite a casa loro. Si chiamava Valia. La musica che dentro di me, fino a quel momento rimbalzava tra stomaco e fegato, in quel istante cessò le sue evoluzioni: nulla percepivo e nulla trasmettevo: i miei sensi erano in panne.

    Valia in quel istante era il tutto!

    La sua bellezza quasi mi faceva male, e nel suo primo sorriso che mi fece quando ci presentammo, tra le risa incontrollate dei tre “desperados” che nel frattempo proseguivano imperterriti la serata, mi sentii di morire. Bloccato, a tratti confuso, cardicamente perso, mi ripresi dopo un po, incoraggiato anche dalla musica altissima che nonostante fossero le due del mattino tuonava dalle casse.

    Venne il momento del congedo e noi seppur a malincuore andammo a dormire al nostro hotel. L’indomani mattina dopo una terapeutica e rinvigorente dormita, mi resi conto che la vacanza stava per terminare e che le possibilità di rivedere Valia si riducevano drasticamente; dopotutto era ospite a casa di Wilfredo, e sarebbe potuta ripartire in qualsiasi istante.

    Ma il destino giocò a mio favore. Nei pochi giorni a seguire che ci rimanevano, instaurammo una bellissima amicizia e nel bacio d’addio che gli diedi e che ci vide soli nonostante il trambusto dell’aeroporto, le seppi solamente dire l’unica frase che imparai a dovere: “nunca voi a olvidarte”.




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