L’olio di palma è sostenibile?
L’altra accusa contro l’olio di palma è quella della scarsa sostenibilità, a causa del disboscamento di grandi aree di foresta pluviale in Indonesia e Malesia, pari all’8% della produzione mondiale (seguono Nigeria, Tailandia e Colombia). Nel 2008, la produzione globale di olio di palma ha raggiunto i 48 milioni di tonnellate e nel 2015 è arrivata a 62. Secondo la Fao, entro il 2020 la domanda globale raddoppierà, fino a triplicare per il 2050.
«Questo è un terreno ragionevole di discussione, anche se l’olio di palma è particolarmente efficiente: consuma poco territorio e ha una resa straordinaria (3,8 tonnellate per ettaro a fronte dello 0,8 della colza, ndr ). Le accuse valgono per qualunque coltura intensiva nei Paesi emergenti. La specializzazione riduce la biodiversità, è naturale, ma non si può mettere alle strette un Paese perché ha un prodotto di successo, è un’altra forma di discriminazione. È doveroso, piuttosto, richiedere pratiche sostenibili ai produttori affinché usino materia prima da filiera certificata», secondo gli standard simili a quelli della Roundtable on Sustainable Palm Oil . Anche se, va detto, il 40% della produzione arriva da piccole attività indipendenti che, con meno di 5 ettari di terreno, escono dalla povertà assommando redditi fra i 4 mila e i 12 mila dollari l’anno (in Malesia il salario medio è 2.400 dollari l’anno).
Insomma, Ferrero ha fatto bene a fare della difesa dell’olio di palma una bandiera? I numeri dicono di sì, perché dopo una caduta del 3% dei ricavi, la campagna realizzata in occasione dei 70 anni dell’azienda sembra aver rimesso le cose a posto (+4%). «Sicuramente ha fatto una scelta coraggiosa», conclude Fattore. «In parte ha pesato sicuramente la dimensione multinazionale del gruppo di Alba. Troppo spesso pensiamo in termini locali, ma Ferrero esporta tantissimo, soprattutto in Asia. I veri interessi sono lì: cambiare la ricetta della Nutella avrebbe danneggiato l’immagine di salubrità e la capacità di esportazione. Meglio perdere una piccola quota di mercato in Italia che rischiare ripercussioni internazionali».