VITTORIO GREVI: GLI ERRORI DEGLI AVVOCATI

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INES TABUSSO
00lunedì 3 luglio 2006 21:23

CORRIERE DELLA SERA
3 luglio 2006
Gli errori degli avvocati
di VITTORIO GREVI

Se è vero, come non si stancava di ripetere il presidente Ciampi, e come ha subito ribadito anche il presidente Napolitano di fronte al Consiglio Superiore della magistratura, che il problema più grave della nostra giustizia (e della giustizia penale in specie) è costituito dalla eccessiva durata dei processi, non c’è dubbio che, in proposito, l’obiettivo principale del nuovo governo dovrà essere quello di restituire efficienza al sistema processuale. Fermo restando, ovviamente, il rispetto delle imprescindibili garanzie dell’imputato. Si tratta, del resto, di un obiettivo che si colloca in coerenza con una precisa indicazione di priorità contenuta nel programma dell’Unione, e che presuppone un duplice livello di interventi. Da un lato, nel senso di cancellare, o almeno di correggere, le troppe leggi che in passato (e soprattutto nel corso dell’ultima legislatura, spesso con finalità estranee agli interessi generali) hanno appesantito con inutili ostacoli e con ingiustificati formalismi il percorso del processo penale verso il suo epilogo naturale, rappresentato da una sentenza definitiva di accertamento sulla fondatezza dell’accusa. Dall’altro, nel senso di predisporre meccanismi procedurali più snelli e meno esposti alle tattiche dilatorie delle parti, così da rompere il perverso circolo vizioso oggi derivante dalla tentazione di «tirare in lungo», a sua volta alimentata dall’aspettativa di vantaggi (per esempio, la scadenza dei termini di prescrizione del reato) collegati proprio al differimento della conclusione del processo. Si tratta di un obiettivo di cui il Guardasigilli Mastella è sembrato fin dall’inizio consapevole, pur privilegiando (attesa la sua urgenza, peraltro non ancora riscontrata in sede parlamentare) l’iniziativa volta a sospendere l’entrata in vigore dei più delicati decreti di attuazione del nuovo ordinamento giudiziario. Adesso, tuttavia, è giunto il momento di dare concretezza alle buone intenzioni, lungo le direttrici che nei giorni scorsi lo stesso Mastella ha in parte anticipato al Senato, non a caso riallacciandosi a proposte già emerse dal dibattito fra studiosi e operatori del diritto, oltre che nell’ambito di diverse commissioni ministeriali. Schematizzando, viene in risalto anzitutto la prospettiva della semplificazione delle forme e degli istituti processuali, attraverso il superamento di previsioni e di adempimenti (per esempio, in materia di notificazioni, o di deposito di atti) non necessari al soddisfacimento di concrete garanzie difensive. In secondo luogo si pone il problema della revisione del regime delle nullità e delle altre invalidità processuali, facendo leva su un equilibrato congegno di sanatorie e di preclusioni, ispirato anche al principio di lealtà e di correttezza delle parti. Infine emerge l’esigenza di un meditato ripensamento del sistema delle impugnazioni, attraverso scelte idonee a superare le anomalie introdotte dalla «Legge Pecorella» (anomalie anche, ma non solo, di rilevanza costituzionale), e, in ogni caso, tali da impedire l’uso strumentale delle stesse impugnazioni allo scopo di propiziare la prescrizione del reato (per esempio, mediante la sospensione dei relativi termini, oggi irragionevolmente abbreviati dalla «legge ex Cirielli», quando venga impugnata una sentenza di condanna).
Spiace che, di fronte al preannuncio di queste tematiche, gli avvocati aderenti all’Unione delle Camere penali abbiano assunto una posizione di aspra protesta, culminata nella proclamazione di sette giorni di «sciopero»: senza preoccuparsi di tutte le disfunzioni che potranno derivarne, proprio in chiave di ulteriore rallentamento della macchina giudiziaria. È vero che tale protesta si dirige soprattutto contro le iniziative del ministro Mastella concernenti la moratoria dei decreti delegati in materia di ordinamento giudiziario; tuttavia è altrettanto vero che la radicale contrapposizione degli avvocati penalisti riguarda anche alcune proposte dirette a razionalizzare la funzionalità del processo penale, senza pregiudizio per i diritti costituzionali dell’imputato. Eppure, sul punto, una svolta nel segno dell’efficienza appare necessaria.
Se si vuole davvero assicurare la «ragionevole durata» dei tempi processuali, occorre rovesciare l’antica massima avvocatesca per cui il processo dum pendet, rendet (cioè «finché pende, rende»). In particolare, cominciando con l’escludere qualunque effetto vantaggioso ricavabile da eventuali manovre delle parti aventi natura soltanto dilatoria.

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