TREMONTI : IL GENIO DEL CARCIOFO STRIKES BACK

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INES TABUSSO
00venerdì 23 settembre 2005 13:32
"A un certo punto decisi che da ogni male bisogna saper trarre qualcosa di
buono. Pensai che potevo creare un labirinto, e poi decisi di creare qualcosa
che non era mai esistito prima - un museo dei cactus".
Scendiamo e ammiriamo il bizzarro anfiteatro in cui un pubblico di 4000 spettatori
spinosi, comprendente 400 specie, provenienti da sette diversi paesi, guarda
giu' dalle terrazze circolari, verso una bella piscina blu affacciata sulla
baia. E' balordo ma, in un certo qual modo, splendido. "Questo e' il cervello
del mio ministro delle finanze" dice Silvio, indicando un qualcosa che assomiglia
a un carciofo rabbioso "idee dappertutto".
(Forza Berlusconi!, Cover Story, Boris Johnson, "The Spectator", 6 settembre
2003)

vedi
www.osservatoriosullalegalita.org/a/esteri/spectator_berlus...



CORRIERE DELLA SERA
23 settembre 2005

I MINISTRI AMICI-NEMICI
E «Giulio Genio»
di GIAN ANTONIO STELLA
La deriva, «the drift »
direbbero gli amici carogna
che ammiccano sul suo vezzo
di infilare dappertutto
l?inglese, era già nei soprannomi. Il primo fu «Peluche», dovuto
ai toni morbidi delle giacche
e dell'eloquio.

E sul «peluche» Mimmo arriva
la vendetta del «genio» Giulio

Il secondo «Finiscalco», mix micidiale tra il cognome suo e quello di Gianfranco
Fini, l'omicida (politico) di Giulio «Genio» Tremonti. Il terzo «Siniscaltro»,
appiccicatogli da chi gli attribuiva certe mosse furbine per ritagliarsi
una figura «terzista». Il quarto, inventato da chi gli rinfacciava di giocare
in proprio come se non c'entrasse col governo, «Siniscalcolo». Il quinto,
velenosamente suggerito da chi l'accusava di essere troppo ambiguo, «Sinisfalso».
Fatto sta che nessuno, manco l'allenatore più scadente del creato, è stato
congedato dopo le dimissioni senza manco una parola di cortesia come Domenico
Siniscalco. «Ah, finalmente una buona notizia!», è sbottato anzi Gianfranco
Rotondi. «Era un impiegato in posizione di comando presso il governo, l'amministrazione
lo restituisca a Rutelli, alle cui file appartiene».
Il calcio dell'asino. Non sono affatto pochi, però, nella Casa delle Libertà,
a pensare ciò che il segretario della micro-Dc ha detto con parole così brusche.
Il punto è che la destra aveva sempre vissuto l'economista torinese, già
collaboratore dell'Ulivo, come un corpo estraneo. Mai una sparata contro
i «rossi». Mai un pizzico di buona demagogia elettorale. Mai una sassata
contro l'euro. Mai una bella declamazione sul taglio delle tasse.
Peggio: il giorno dopo la sforbiciata all'Irpef, cantata in tivù con tanto
di reality-spot, se ne andò a Bruxelles e tranquillizzò i colleghi europei
assicurando che era solo «un dépliant di entità molto modesta». Ma come,
schiumò furente il Cavaliere, lui ci metteva l'anima e impegnava tutte le
televisioni e sventagliava i giornalisti più fedeli per far passar l'idea
che era una «svolta epocale» e quello riduceva tutto a «un dépliant di entità
molto modesta»? D'accordo, i pignoli ragionieri europei dovevano essere tranquillizzati.
Però...
Però dietro la scelta del ministro del Tesoro di volare basso mentre il coro
intonava peana al Capo, c'era qualcosa di più di quello spirito torinese
che spingeva Norberto Bobbio, se lo classificavano tra i grandi del secolo,
a sbottare «esageruma nen», «non esageriamo». C'era il tentativo di non lasciarsi
coinvolgere troppo in un'operazione che aveva inutilmente combattuto e poi
assecondato, raccontava in giro agli ex-amici della sinistra, solo per tenere
il pallino e limitare i danni. Il tutto in linea con la voglia di togliersi
di dosso l'etichetta che gli aveva incollato addosso Rosi Bindi dopo la nomina:
«E' solo il cavallo scosso di Tremonti».
Un ruolo ambiguo e scomodissimo. Che mettendolo solo parzialmente al riparo
dalle frecciate della sinistra spinta a vederlo come un voltagabbana («una
maschera di altissimo livello del trasformismo italiano praticato con grande
naturalezza e con grandi risultati», per dirla con l'indulgente amico Gad
Lerner) l'aveva però esposto alle diffidenze dei sacerdoti di rito berlusconiano.
Fino a far dire a Renato Brunetta: «Non è mai diventato ministro dell'economia,
è sempre rimasto direttore generale».
Figlio di un noto avvocato appartenente a una famiglia salernitana salita
a Torino dopo l'Unità, laureato a 24 anni in giurisprudenza e arricchito
nel 1989 da un Phd preso a Cambridge (dove studiò tra gli altri col greco
Nikos Christodoulakis, poi ministro del Tesoro nel governo di Costas Simitis),
discepolo di Franco Modigliani con cui firmò alcuni lavori, autore di una
novantina di saggi dal titolo spesso inglese e da leggere in apnea (tipo:
«Beyond manufacturing: structural change, service sector employment and foreign
trade in the Italian economy, 1960-1985»), Siniscalco arrivò a Roma con la
cucciolata del ministro socialista Franco Reviglio, della quale faceva parte
anche Tremonti. E per un mucchio di anni fu per il «Genio», come lo definì
Berlusconi, quello che sono stati Bibò per Bibì, Ciop per Cip, Pertica per
Palla. Una coppia (economica) di fatto senza bisogno di Pacs.
Al punto che, la sera in cui fu defenestrato dal governo, nel luglio dell'anno
scorso, fu proprio da lui, da Mimmo, che Giulio si precipitò a sfogarsi.
Senza sapere che, come avrebbe rivelato giorni dopo l'intervista a uno zio,
l'amico «Finiscalco» (ecco il primo nomignolo firmato Tremonti) era già corteggiato
da mesi da chi voleva cambiare ministro dell'economia. Senza dirgli niente!
A lui! Fu lì che Tremonti, liberata la scrivania ministeriale toccando tutto
con le punte come se fosse infetto da microbi, dichiarò a se stesso, per
dirla in siniscalchese, una mission: rovinare la vita al successore. Tessendogli
intorno una ragnatela di battute e battutine destinate a creare una diffusa
diffidenza. Senza mai dargli ragione una volta che fosse una.
«Mimmo» presentava la sua prima Finanziaria? Lui telefonava in giro arrotando
la «evve» per dire che era un obbvobvio. «Mimmo» diceva «basta con i condoni»?
Lui ricordava che quei condoni erano stati varati senza che «Peluche» levasse
un sopracciglio di disappunto. «Mimmo» prendeva posizione (inizialmente «molto
prudente», perfino secondo Gianni Letta!) sullo scandalo delle intercettazioni
di Fazio? L'altro lo fulminava: «E' il ruggito di Don Abbondio». E via così.
Fino a marchiare l'ex-amico di una vita con l'ultimo nomignolo, che forse
non sarà neppure di Tremonti ma pare davvero portare la sua firma: «Fish
in barrel». Pesce in barile.
Finché, sempre più solo, sempre più in difficoltà nel destreggiarsi tra gente
che lo strattonava da una parte e dall'altra, sempre più preoccupato dall'ipotesi
di essere incompreso da tutti, Siniscalco non ha iniziato a prepararsi, dicono,
la via d'uscita da una situazione insostenibile. Ed ecco le dissociazioni
sempre più marcate su alcune scelte economiche. I toni sempre più alti sul
caso Fazio. La legge finanziaria esposta alla bocciatura immediata di Lega
e Udc e altri ancora... Sbattuta la porta, a chi gli chiedeva chi sarebbe
stato il suo sostituto aveva risposto: «E? difficile che uno sappia chi sarà
il secondo marito di sua moglie». Va a saperlo che sarebbe stato il marito
vecchio...

Gian Antonio Stella

[Modificato da INES TABUSSO 23/09/2005 14.38]

[Modificato da INES TABUSSO 23/09/2005 17.34]

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