SONDAGGIO: LA METÀ DEGLI ITALIANI DESIDEREREBBE CAMBIARE LAVORO

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Doxa
00martedì 22 novembre 2005 14:21
Quasi la metà degli italiani che lavorano desidererebbe cambiare lavoro per avere finalmente un’occupazione gratificante e legale (sono 10.2 milioni). Inoltre da ora al 2008 altri 6.0 milioni di adulti cercano o cercheranno un lavoro (magari part-time e/o a integrazione del primo). Un quarto circa di questo sterminato esercito di 16.2 milioni di adulti in potenziale mobilità verso il lavoro o un nuovo lavoro non desidera un’occupazione tradizionale (imprenditoriale o autonoma oppure dipendente), ma mira ad un impegno professionale indipendente, autogovernato, flessibile, serio, garantente legalmente un reddito commisurato all’impegno e ai risultati. La quasi totalità di questi 4.2 milioni di 18-64enni guarda con interesse a forme di impegno come quelle offerte da Amway, che appaiono in grado di soddisfare vasti bisogni sociali d’integrazione tra vita personale e lavoro o anche tra lavori diversi. Sono questi alcuni dei risultati della ricerca realizzata per conto di Amway da Astra nel giugno 2005 tramite 1.007 interviste telefoniche, somministrate col metodo Cati - in collaborazione con la collegata Doxa - ad un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 18 ai 64 anni (esclusi i non residenti e i membri delle convivenze: ospedali, convitti, carceri, caserme, conventi, ecc.), pari a un universo di 38.1 milioni di adulti. Parliamo dunque di lavoro retribuito: non quello domestico e neppure quello volontario e gratuito. E cominciamo col dire che circa il 60% dei 18-64enni dichiara di avere un’occupazione, magari part-time e/o non regolare: di più di quel che risulta dalle statistiche ufficiali, le quali non riescono spesso a misurare il ‘sommerso’. Ebbene, quasi i due terzi dei lavoratori effettivi non hanno alcuna intenzione di cambiar lavoro: sono quei 16.5 milioni di adulti che sono soddisfatti del loro job oppure che temono di perdere il lavoro senza riuscir poi ad averne uno nuovo. Questo segmento della popolazione 18-64enne, pari al 43%, vede il prevalere dei 25-54enni (col massimo tra i 35 e i 44 anni), degli uomini (sempre i più avvantaggiati nell’ambito professionale), dei residenti al nord e – ancor di più – nelle regioni ‘rosse’, di coloro che vivono nei comuni tra i 30mila e i 250mila abitanti, dei laureati (moltissimo), degli appartenenti alle classi media e medio-alta/alta (dai salariati agli imprendi-tori/dirigenti/professionisti passando per gli impiegati/quadri/docenti, con picco tra i commercianti/eser-centi/artigiani per i quali la propensione all’immobilità pro-fessionale raggiunge l’82%). All’opposto il 40% dei lavoratori attuali vorrebbe cambiar lavoro se ne trovasse un altro più adatto alle proprie esigenze. Si tratta di 10.2 milioni di adulti: in particolare 25-44enni (specie 25-34enni in condizioni di precariato o comunque di sottovalorizzazione), maschi, residenti sia in Piemonte/lombardia sia al sud oltre che nelle città maggiori così come nei comuni piccolissimi, appartenenti alla classe media, diplomati e laureati, salariati e impiegati. I motivi di quest’orientamento al cambiamento sono vari: 3.6 milioni vorrebbero passare dal lavoro dipendente a un lavoro autonomo (in particolare maschi, 25-44enni, residenti al sud e nei comuni al di sotto dei 100mila abitanti, salariati, con la licenza media); 2.8 milioni desiderano un lavoro continuativo e non precario (più della media 18-34enni, residenti nelle città con più di 100mila abitanti oltre che a sud della linea da Grosseto ad Ascoli Piceno, laureati, studenti e salariati ma a volte pure impiegati); 2.2 milioni aspirano ad attività professionali diverse da quelle attuali nelle quali non si realizzano affatto (un problema più diffuso al sud, nei comuni con meno di 5mila abitanti, tra i 25-34enni, nella classe media, tra i lavoratori autonomi e drammaticamente tra i salariati); 1.6 milioni fanno al momento uno o più lavori ‘in nero’ (specie 18-34enni, meridionali, metropolitani, di classe media, studenti e – senza pari – salariati) e vorrebbero invece essere regolarmente assunti. Alla ricerca d’un nuovo, miglior lavoro bisogna poi aggiungere la ricerca d’una prima occupazione: una ricerca che, nelle previsioni degli intervistati, riguarda già ora oppure riguarderà nel prossimo triennio ben 4.8 milioni di adulti (ovviamente 18-24enni – quasi il triplo della media – con ulteriori accentuazioni tra le donne, i diplomati di scuola media superiore e i soggetti con la licenza media, nelle aree urbano-metropolitane e al sud). A costoro vanno aggiunti altri tipi di persone: chi ha già un lavoro ma vorrebbe affiancarne un secondo (2.4 milioni: specie 25-34enni, maschi, meridionali, residenti nei comuni piccolissimi, salariati e – meno – anche imprenditori/dirigenti/professionisti) chi ha già ora due lavori ma vorrebbe cambiare il secondo lavoro (200mila) infine chi sta per andare in pensione ma è intenzionato a cercarsi un nuovo lavoro, anche non a pieno tempo (700mila: naturalmente ultra54enni, presenti in tutto il Paese e in ogni classe sociale). In conclusione, almeno a stare alle dichiarazioni degli intervistati, a fronte di 11.8 milioni di lavoratori che non intendono cambiare occupazione (per soddisfazione o pigrizia o terrore della disoccupazione) troviamo 10.2 milioni che vorrebbero trovare un’occupazione migliore e 8.1 milioni che cercano o tra breve cercheranno lavoro: come dire, al netto delle duplicazioni (vari soggetti hanno indicato più risposte), 16.2 milioni di adulti che ‘si guardano in giro’ o lo faranno entro tre anni, cioè ben più dei lavoratori attuali che non intendono cambiare. Concentriamo la nostra attenzione su questi 16.2 milioni di adulti che vorrebbero trovare un lavoro oggi e nei prossimi tre anni oppure che preferirebbero cambiar lavoro per trovarne uno migliore. Che tipo di lavoro preferirebbero? Quali sono le caratteristiche da essi ritenute molto importanti, così importanti da far preferire – potendo scegliere – un lavoro con tali connotazioni? Ecco la classifica: un datore di lavoro serio e affidabile (82%); l’assoluta legalità del lavoro, da svolgere nel pieno rispetto delle leggi (79%); il riconoscimento e l’apprezzamento dei meriti effettivi (74%); la collaborazione con altre persone nello svolgimento del lavoro (73%) sentendosi parte d’un gruppo, d’una squadra (69%); l’assoluta non discriminazione sulla base del genere sessuale, dell’età, della religione, dell’etnia, della cultura, delle opinioni politiche, ecc., con rispetto per tutti dell’etica e dell’educazione (72%) oltre che d’un codice etico con precise regole di comportamento (71%); la possibilità del contatto con la gente (68%); il sostegno d’un adeguata attività di formazione (70%) e anche dell’aiuto di chi ha esperienza di quel lavoro (63%); un reddito adeguato all’impegno e alle prestazioni (65%); la non rigidità o ripetitività, ma la flessibilità non imposta (64%); la possibilità di misurare sempre i propri risultati (62%); la valorizzazione dell’iniziativa personale, dell’impren-ditività (55%). A queste domande maggioritarie si affiancano altre domande più specifiche, che fanno riferimento ad un modello professionale con caratteristiche ben profilate: quello tipico d’un lavoro che si può svolgere dove si vuole (a casa, ecc.: 7 milioni) e quando si vuole (nei giorni e negli orari preferiti: 6.6 milioni), che non richiede precedenti esperienze specifiche (6.2 milioni) o un particolare titolo di studio (5.6 milioni), autonomo e senza capi che comandano (5.3 milioni), indipendente e dunque non ‘sotto padrone’ (5.3 milioni). Al netto delle duplicazioni (erano possibili risposte multiple) troviamo circa 5.5 milioni di 18-64enni – insoddisfatti del lavoro che hanno o in cerca (oggi o tra breve tempo) d’un lavoro – i quali non sognano affatto un lavoro dipendente, rigido e legato ad una sede determinata, ma all’opposto amerebbero un’occupazione autogovernata, flessibile, non iper-specialistica: un universo che coinvolge specie i 35-54enni, molte donne, un vasto mondo di casalinghe e lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e professionisti, impiegati e artigiani, operai e giovani pensionati (in tutte le aree del Paese ma con un’accentuazione particolare nel Triveneto e nelle regioni ‘rosse’). La gran parte di costoro guarda alla vendita di prodotti, beni o servizi: o personale (ma – come abbiamo visto – non in un negozio) e si tratta allora di 4.3 milioni, oppure con funzioni basate sulla creazione e sul coordinamento d’una rete di venditori scelti anche tra i propri conoscenti (4.9 milioni). Con un’aggiunta-chiave: i prodotti da commercia-lizzare dovrebbero essere, a detta di costoro, utili nella vita di tutti i giorni, di successo da anni in molti Paesi avanzati, severamente controllati, meglio se unici ed esclusivi. È possibile a questo punto stabilire quant’è vasto l’interesse per un lavoro come quello che – in Italia come in numerosi altri Paesi avanzati – corrisponde al ‘modello Amway’: indipendente, basato sulla vendita a domicilio di prodotti qualificati e sicuri da parte di persone non necessariamente esperte ma sottoposte a un’adeguata formazione, con responsabilità di vendita o di organizzazione d’una rete di venditori liberamente scelti, pagato con una percentuale adeguata sulle vendite effettuate da sé o dalla propria squadra, collaborando con una seria azienda americana, in modo del tutto legale e senza vincoli gerarchici, con la possibilità di scegliere dove e quando operare (oltre che di ‘lasciare’ in ogni momento senza alcun vincolo o penalizzazione), con un reddito – che può andare da poche decine di euro a oltre 5mila euro al mese – commisurato ai propri risultati (verificabili sempre dall’interessato). Ebbene, sono 4.2 milioni gli italiani 18-64enni che provano un interesse significativo per tale tipo di lavoro, dandogli un voto compreso tra 7 e 10 in una scala di interesse da 1/minimo a 10/massimo: il che vale più della media tra i 18-24enni, i residenti al sud e al di fuori delle aree metropolitane (senza differenza tra uomini e donne). In sostanza, poco più d’un quarto di coloro che vorrebbero cambiar lavoro o ne stanno cercando uno o lo faranno nei prossimi tre anni appaiono affascinati dal ‘modello Amway’: un’azienda nota alla metà di tale vasto mondo di 16.2 milioni di adulti (al di sopra di tale media troviamo i 25-44enni, i residenti al sud e nelle città tra i 30mila e i 250mila abitanti, il ceto medio sia impiegatizio sia autonomo con l’aggiunta dei salariati, coloro che hanno la licenza media o superiore, senza differenze tra i due generi sessuali). Per concludere, l’Italia si presenta come un Paese ove è e sarà gigantesca la domanda sociale di lavoro e di lavoro gratificante e legale. Una parte rilevante di tale insieme di aspettative e richieste si rivolge non solo alle forme tradizionali di occupazione dipendente o autonoma: un quarto, ossia 4.2 milioni di adulti, apprezza e in parte prende o prenderà in considerazione – se adeguatamente informato circa tale opportunità – formule professionali come quelle rappresentate da Amway in tanti Stati moderni. E un’analisi accurata ci dice che tale variegato gruppo è composto dall’80% di 18-44enni (i soli 25-44enni sono il 42%), dal 55% di donne, dal 35% di settentrionali e da ben il 57% di meridionali, dal 37% di soggetti con la licenza media inferiore e dal 44% di diplomati, dal 27% di attuali impiegati/quadri/docenti e dal 33% di salariati e disoccupati a cui si aggiungono il 15% di casalinghe e un 17% di studenti, attirando per il 48% attuali lavoratori insoddisfatti. Nel quadro d’un Italia potenzialmente assai più mobile da un punto di vista del lavoro di quel che di solito si dice, tra le esperienze da prendere in considerazione dobbiamo tener conto anche di questa, che risponde a bisogni diffusi d’indipendenza, autonomia, flessibilità non imposta, autogratificazione (da soli o in squadra), con quel tocco di legalità e di meritocrazia che da noi certo non guasta (e che per troppi è ancora un obiettivo arduo da raggiungere).
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