NO, NON E' IL SANT'UFFIZIO: E' SOLO "IL RIFORMISTA"

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INES TABUSSO
00lunedì 4 giugno 2007 12:00



IL RIFORMISTA
4 giugno 2007
Se le intercettazioni sostituiscono i pentiti
www.ilriformista.it//documenti/testofree.aspx?id_doc=88508

Quasi tre lustri dopo Tangentopoli, in Italia il nodo gordiano tra politica e
giustizia è ben lungi dall’essere tagliato. Anzi: Vallettopoli, i furbetti
incarcerati e poi, ancora, la pubblicazione delle intercettazioni alimentano il
sospetto che l’agenda della politica sia sempre più dettata o, quantomeno,
condizionata dalle iniziative della magistratura. Del resto, basta vedere gli
ostacoli che incontra il Guardasigilli Mastella nell’azzerare la riforma
Castelli, il punto di frattura più grave negli ultimi anni tra il potere
legislativo e quello giudiziario. Che fare, allora? Nella scorsa legislatura,
il senatore di An Giuseppe Valentino, penalista calabrese con studio a Roma, è
stato sottosegretario alla Giustizia. Sostiene Valentino: «Uno dei primi atti
del ministro Mastella è stato quello di “consegnarsi” all’Anm, l’Associazione
nazionale magistrati. Ricordo che in un’intervista a Repubblica, il
Guardasigilli sostanzialmente invitava i magistrati a tracciare le linee
politiche di una sorta di “controriforma”. È stato, però, un tentativo meno
semplice di quanto non si pensasse perché il capo dello Stato non diede corso
alle richieste di decreto legge ipotizzate dal governo al fine di bloccare l’
entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario realizzata durante
il governo Berlusconi. Oggi nove decreti delegati su dieci della riforma sono
in vigore. Le uniche questioni aperte - proprio in questi giorni in discussione
al Senato - sono quelle della progressione in carriera e dei limiti imposti al
transito del magistrato dalla funzione requirente a quella giudicante».
In pratica, il cuore della Castelli, tra l’altro frutto di un compromesso al
ribasso, visto che dalla separazione delle carriere fortemente voluta dalla Cdl
si passò a quelle delle funzioni. Continua Valentino: «Sì, anche io ritengo che
la scelta di separare le funzioni o meglio di prevedere particolari condizioni
per il transito del magistrato da una funzione all’altra, sia stata una
soluzione minima. In ogni caso alcune scelte non sono più rinviabili perché è l’
Europa a chiederci una grande opera di modernizzazione dell’ordinamento
giudiziario, è l’Europa a sollecitarci la separazione delle carriere per
realizzare sistemi più omogenei ed è, soprattutto, l’articolo 111 della nostra
Costituzione a reclamarlo nel momento in cui sottolinea la terzietà del
giudice: un soggetto processuale distinto dalle parti in causa che non può
appartenere, quindi, allo stesso ordine giudiziario del pm».
Sull’attuazione però di queste modifiche radicali, e sui relativi tempi,
Valentino è lucidamente pessimista. Primo: perché adesso c’è una maggioranza
attestata sulle posizioni più conservatrici della magistratura. La seconda
ragione è, invece, più profonda e meno contingente: «Le leggi non cambiano la
mentalità, è necessaria, dunque, una riflessione più ampia. Le riforme arrivano
fino a un certo punto. Questo perché aree della magistratura sono ormai
convinte di dover combattere una sorta di crociata, come dimostra il tentativo
costante di alcuni magistrati, da Mani Pulite in poi, di condizionare la
politica. Omettono di ricordare, però, che il loro compito è solo quello di
applicare la legge. Quanto accaduto durante il governo Berlusconi è esemplare:
per cinque anni vi è stata la percezione che la vera opposizione alla
maggioranza fosse la magistratura e non il centrosinistra. Si ha, così, l’
impressione di esser di fronte a una patologia del sistema dove l’agenda
politica è per molti versi scandita da iniziative giudiziarie, anche se poi si
risolvono in un nulla di fatto in una percentuale elevatissima di casi. C’è
bisogno di cambiare il passo, per fare della magistratura la vera, autentica
struttura delle garanzie fortemente volute dal cittadino. Per questo motivo,
occorre che la magistratura si apra di più alla società e si confronti con
essa. Una possibilità potrebbe essere costituita da un’applicazione ampia dell’
articolo 106 della Costituzione che prevede possano essere chiamati all’ufficio
di Consigliere di Cassazione giuristi non togati di particolare livello.
Culture costituitesi in contesti diversi contribuirebbero, così, a vivacizzare
e stimolare il dibattito in un prestigioso presidio giudiziario dove nasce la
giurisprudenza, fonte primaria del Diritto».
Ultima nota dolente, ultima in ordine di apparizione sui media, le
intercettazioni telefoniche. Valentino conosce molto bene il problema dal
momento che quand’era sottosegretario alla Giustizia aveva la delega all’
Informatica: «In Italia le intercettazioni assorbono gran parte delle risorse
del ministero della Giustizia, svariate centinaia di milioni di euro l’anno. Un’
enormità. Se avessimo fortemente condizionato la criminalità in tutte le sue
accezioni, capirei pure, ma, purtroppo, non è stato così. Anzi. Ho la
sensazione che l’uso delle intercettazioni, da qualche tempo, abbia sostituito
quello ormai usurato dei pentiti. Due strumenti investigativi di indubbia
efficacia che in molti casi, però, rappresentano pericolose scorciatoie che,
temo, possano “impigrire” intellettualmente gli inquirenti. Peraltro, analoghe
valutazioni ha svolto un illustre magistrato torinese sostenendo che prima i
pentiti e poi le intercettazioni hanno, in certo senso, attenuato le capacità
investigative dei magistrati». Per quanto riguarda l’uso mediatico delle
intercettazioni, l’opinione di Valentino è netta. «In ogni caso, uso o abuso
che sia, l’intercettazione è atto di indagine funzionale al processo non al
diritto di cronaca. Eppoi l’ordinanza di custodia cautelare quando viene emessa
dal giudice per l’indagine preliminare non è ancora atto pubblico, né lo
diviene subito dopo la sua esecuzione. Per questo sono d’accordo con l’
introduzione di sanzioni adeguate per chi pubblichi questi documenti sottoposti
ancora al segreto istruttorio».





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