MUCCHETTI: IO, GLI SPIONI INFORMATICI E LA LETTERA DI TRONCHETTI

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INES TABUSSO
00martedì 23 gennaio 2007 20:58


CORRIERE DELLA SERA
23 gennaio 2007
IO, GLI SPIONI INFORMATICI E LA LETTERA DI TRONCHETTI
Massimo Mucchetti

Che cosa può venire in mente a un giornalista sorvegliato dalla security di Telecom Italia quando legge l'atto d'accusa dei pm contro gli spioni, l'ordinanza del gip che ne dispone l'arresto e infine l'autodifesa di Marco Tronchetti Provera su La Stampa? La prima reazione del sorvegliato è stata quella di rivedere sul cellulare l'ultimo sms di Fabio Ghioni, il chief technical officer di Telecom che, secondo l'accusa, aveva organizzato le investigazioni illegali su Vittorio Colao, allora amministratore delegato di Rcs, Rosalba Casiraghi, già sindaco Telecom per le minoranze azionarie, e sul sottoscritto. È un testo surreale, pervenuto alle 18.41 del 18 novembre 2006, tre giorni dopo l'uscita in libreria del mio libro: Il baco del Corriere.

Scrive Ghioni: «Caro Massimo, nonostante tutto ciò che hai detto e scritto, non dimentico che sei stato uno dei pochi che mi è rimasto vicino in un momento veramente difficile e non voglio credere che fosse solo una tattica da parte tua. Dicono che il tempo è galantuomo e, quando sarà, spero che tu mi chiami, non per scusarti, ma per prendere un caffè da Radetzky senza altre finalità se non fare 2 chiacchiere tra amici».

Ghioni allude al fatto che, quando era sulla graticola per la tragica scomparsa del suo collega Adamo Bove, lo stavo ad ascoltare dandogli, su sua richiesta, perfino un consiglio: «Se vuoi difenderti con un'intervista, che io comunque non ti farei, fatti autorizzare per iscritto dall'azienda a dire quello che vuoi dire». Rileggo il messaggio e fatico a capire quale senso di onnipotenza manipolatoria spingesse l'autore a recitare la parte dell'amico tradito con l'uomo che, così pare, aveva spiato. Non credo che inviterò Ghioni a prendere quel caffè. Se avesse avuto qualcosa da dire, questo mago cibernetico avrebbe potuto mettermi per iscritto la sua verità.

Gliel'avevo chiesto a settembre: all'indomani della pubblicazione delle notizie sul suo ruolo nell'hackeraggio alla Rcs quando avevo ormai finito la mia inchiesta. Ha avuto tutto l'agio di farlo e non l'ha fatto. D'altra parte, perché perdere altro tempo con persone come lui e il suo superiore Giuliano Tavaroli che asseriscono di aver appreso dello spionaggio contro Rcs dal sottoscritto, quando ne abbiamo parlato solo dopo la pubblicazione della notizia sull'Espresso e comunque loro due lo sapevano dal novembre 2004, com'è stato riferito da una pluralità di testimoni?
Il caso Telecom-Rcs merita una più ampia attenzione sugli eventuali nessi tra deviazioni e normalità nella conduzione di una grande azienda dov'è immanente il rischio di corto circuito tra interessi privati, potere personale e abitudini monopolistiche. Tronchetti Provera è sceso in campo con una lunga lettera alla Stampa per rivendicare la propria correttezza e il proprio personale impegno a garanzia dell'indipendenza dell'informazione e dell'autonomia dei giornalisti. Questa autodifesa sarebbe più efficace se, anziché rimanere sulle generali, affrontasse alcuni fatti emersi nell'inchiesta. Per esempio, le pressioni che, ai primi di dicembre del 2003, lo scrivente risulta aver esercitato sulla direzione del Corriere e sulla presidenza della Rcs contro l'assunzione del sottoscritto, ormai già decisa.
Saranno dettagli, ma ritenere il sindaco Rosalba Casiraghi la fonte di un giornalista, ovvero un'informatrice che viene meno ai suoi doveri di riservatezza, invece dell'analista con i fiocchi che è, significa ledere la reputazione di una persona. E dimostra che i signori della security, ai quali Telecom affidava un budget di 150 milioni l'anno, non sapevano nemmeno leggere articoli di analisi, e non di rivelazioni di segreti aziendali, dov'era evidente come l'unica fonte fossero i bilanci e altri documenti pubblici.
Di più, questi signori non si rendevano conto che, quando collaborava sui conti di Pirelli nei giorni dell'hacker, Casiraghi non era più sindaco della Bicocca. Che ufficialmente non controlla Telecom. L'autodifesa sarebbe più completa se contenesse la parola dovuta a questa signora: in fondo, quando il cameriere versa la minestra sulla gonna di un'ospite, il padrone di casa si prosterna a chiedere scusa.
La security ha indagato su un giornalista del Corriere ipotizzando che scrivesse articoli critici sulla gestione di Telecom e Pirelli (come di tante altre) perché pagato da gruppi ostili o concorrenti. E' il segno di una cultura del sospetto non coerente con gli statement di Tronchetti. Una presa di distanza, integrata da azioni conseguenti, gioverebbe alla credibilità dello sdegno con il quale si conclude la lettera alla Stampa. Ma anche qui ci vuole una chiosa. «E' ragione di ulteriore sdegno», scrive il presidente di Pirelli, «che proprio a presunte azioni illecite nei confronti di giornalisti e dirigenti del Corriere della Sera venga collegato il mio nome».
L'hackeraggio in Rcs è presunto? L'azionista Pirelli ritiene che la denuncia presentata dalla partecipata Rcs non sia fondata? I dossieraggi illeciti sono materia di dubbio? Eppure tutto è stato pagato da Telecom. Le fatture parlano: con le risorse dell'azienda di cui Tronchetti era il massimo responsabile, sono stati comprati i bassi servizi di militari della Guardia di Finanza e carabinieri per avere informazioni sulle posizioni fiscali (peraltro regolari) e informative sulla vita personale altrui (irrilevanti nelle conclusioni ma comunque offensive). Gli uomini di Tavaroli e Ghioni hanno cercato e in un caso ottenuto fascicoli personali al Sisde, che dovrà pur dirci perché li aveva compilati.
Un'autodifesa convincente dovrebbe spiegare come sia stato possibile agli 007 di Telecom, che rispondevano all'amministratore delegato e avevano anche rapporti con il presidente, fare quello che hanno fatto. L'attuale stato dell'inchiesta non consente di ritenere giuridicamente corresponsabile chi aveva la guida del gruppo. Ma quale cultura aziendale si è andata formando in Telecom Italia se la security credeva di far bene a spiare Antitrust e concorrenti? Quando si rivoluziona la struttura storica che non era mai stata coinvolta in simili scandali e si «fanno fuori» i vecchi per dare tutto in mano ai Tavaroli; quando tanti controller non si accorgono di nulla per un intero lustro, esisterà pure una culpa in vigilando. Il cancelliere Willy Brandt si dimise perché scoprì di avere un segretario spia dei comunisti. Ha lasciato anche il ministro degli Interni, Claudio Scajola, per una frase sbagliata sul professor Biagi. Si capisce che, pur essendosi allevato tali serpi in seno, Tronchetti si consideri più indispensabile di Brandt e Scajola. Miracoli del capitalismo di relazione.



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