IL RIFORMISTA, DI PIETRO, E L'ANAS

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INES TABUSSO
00mercoledì 28 giugno 2006 22:29
IL RIFORMISTA
EDITORIALE
mercoledì 28 giugno 2006
INFRASTRUTTURE
Ascoltate Di Pietro
Sull'Anas non ha esagerato


Diciamo la verità, Antonio Di Pietro a volte non può fare a meno di far trasparire anche nei nuovi incarichi politici e di governo i toni e gli argomenti del pubblico ministero. Ma ieri nella sua audizione alla commissione Ambiente della Camera ha sollevato problemi reali, non ha esagerato. Perché se da una parte il ministro delle Infrastrutture ha sollevato con energia fin dal primo giorno del governo i problemi lasciati irrisolti dalla fusione tra la concessionaria pubblica Autostrade dei Benetton e la spagnola Abertis, ed è stato confermato nel chiederne ragione dal parere dato dal Consiglio di Stato secondo cui in assenza di autorizzazione esplicita del concedente pubblico all'operazione la concessione decade, dall'altra il ministro ha fatto bene a sollevare con la dovuta durezza la questione che riguarda il singolare soggetto che in questi anni era chiamato in prima a linea a sorvegliare il concessionario. Un soggetto parecchio particolare, per metà spa che a propria volta esercisce reti stradali e realizza opere e apre cantieri, per l'altra metà ente vigilante dei concessionari pubblici ma dai poteri abbastanza spuntati. Poteri che diventano poi spuntatissimi, quando al cambiare di governo si trova ad annunciare che non ha più denari per pagare gli stipendi e per proseguire nell'avanzamento dei propri, di cantieri, perché è evidente che davanti a un simile spettacolo i concessionari privati che già tanti extraprofitti hanno realizzato in questi anni sollevano ulteriormente le spalle, a giustificazione delle proprie condotte d'impresa che di fatto delocalizzano il controllo verso la Spagna del 60% delle autostrade italiane.
Quando Di Pietro pone a Prodi e Padoa-Schioppa il problema del commissariamento dell'Anas, solleva certo la questione della malagestione del suo bilancio, per l'idea che se n'è fatta. E molti all'Anas ritengono che il ministro maramaldeggi, perché non è certo colpa del vertice Anas se il governo precedente ha lasciato solo finanziamenti “a tempo” in modo che il subentrante si trovasse l'emergenza aperta a cui dare risposta. Ma già giorni prima il direttore generale dell'Anas, il dimissionario Carlo Artusi, aveva rilasciato dichiarazioni gravissime, descrivendo la società come «una nave senza rotta», «una società oggettivamente lontana da essere normale», «una realtà fuori controllo», «un contesto in cui la meritocrazia non esiste», «dove i bilanci sono difficili da leggere», dove realizzare dei risultati è «impensabile, casuale», dove «è difficile avere dati univoci che siano riconosciuti da tutta l'azienda», dove «non esiste ancora una gestione per commesse ed è difficile sapere quali esborsi di cassa servano, non diciamo nel 2008 ma a settembre prossimo», e dove c'è forte «permeabilità a influenze esterne». C'è di che restare senza parole, anche senza voler colpevolizzare per pregiudizio l'intera linea dirigenziale dell'Anas. Ma è un fatto che a giudicare sulla fusione transfrontaliera più importante in corso nel panorama dell'economia italiana, e su un business che non è solo di mercato visto che verte su una ricchissima concessione pubblica, non si può lasciare una finta Spa così incerta tra l'obbedienza politica e l'incertezza gestionale.
Apparentemente, può sembrare che l'irruenza di Di Pietro sollevi un problema improprio proprio quando il governo dovrebbe mostrare il più possibile una sola faccia, rivolgendola ai Benetton e ad Abertis con richieste di impegni chiari e inequivocabili, da affidare a un nuovo e impegnativo atto ufficiale integrativo della commissione, capace di vincolare gli extraprofitti agli investimenti sinora ritardati, e di garantire sulla reale intenzione di far ricadere sull'utente italiano la maggior efficienza attesa che sinora si è riversate soprattutto nelle casse degli azionisti privati. Al contrario, solo cambiando anche l'Anas dalle fondamenta - a costo di liquidarlo - lo Stato concedente e lo Stato azionista potranno insieme trarre occasione per rendersi entrambi più credibili, e meno colpevolmente arrendevoli di fronte a interessi privati che noi difendiamo a oltranza quando sono pronti ad affrontare le sfide del mercato e della concorrenza, assai meno quando si avvantaggiano dei privilegi dei monopoli infrastrutturali.


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