FAZIO: IL DOCUMENTO E GLI AUTORI DEL PARERE NEGATIVO

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INES TABUSSO
00venerdì 26 agosto 2005 00:32


IL SOLE 24 ORE
25 agosto 2005

il documento
«Vanno revocati i precedenti sì»
di Antonella Olivieri

Alla vigilia della riunione del Cicr, cui parteciperà anche il Governatore
della Banca d'Italia Antonio Fazio, dalle carte raccolte dai magistrati milanesi
che indagano sulla scalata di Bpi ad AntonVeneta, emergono i motivi del no
" disatteso" dei servizi interni di Vigilanza all'autorizzazione. Il documento
conclusivo dell'istruttoria, di cui « Il Sole 24 Ore » ha potuto prendere
visione, è datato 8 luglio.
«Valutato l'insieme degli elementi risultanti dall'istruttoria, e avute presenti
le richiamate considerazioni svolte dal Servizio consulenza legale, si ritiene
che i comportamenti tenuti da Bpi nell'ambito dell'operazione costituiscano,
alla luce delle prescrizioni normative in materia, motivi ostativi al rilascio
dell'autorizzazione in punto di sana e prudente gestione. A tali fini rilevano
anche le incertezze che gravano sulla situazione patrimoniale. L'insieme
degli elementi emersi successivamente al rilascio delle precedenti autorizzazioni
assume rilievo anche ai fini della valutazione di un'eventuale revoca delle
medesime» . Si concludeva così, con una sonora bocciatura, « l'istruttoria
sull'istanza di acquisizione del controllo di Bapv da parte di Bpi » , firmata
l' 8 luglio scorso da Claudio Clemente e Giovanni Castaldi, a capo dei servizi
Vigilanza sugli enti creditizi e Concorrenza, normativa e affari generali,
dell'area di Vigilanza della Banca d'Italia affidata a Francesco Frasca.

Il documento è quello che i dirigenti di Banca d'Italia avevano ritenuto
di conservare in cassaforte e a integrazione del quale il Governatore Antonio
Fazio aveva poi commissionato pareri ai consulenti esterni ? Agostino Gambino,
Fabio Merusi e Paolo Ferro Luzzi ? che questo giornale ha riassunto il 13
agosto scorso. Pochi giorni dopo l'autorizzazione alla Popolare italiana
a salire al 50% di AntonVeneta ( attualmente sospesa) fu comunque concessa
a Gianpiero Fiorani, a dispetto delle valutazioni degli uffici interni di
Banca d'Italia.

Nell'analisi condotta da Clemente e Castaldi non emerge solo la preoccupazione
per i riflessi della prossima introduzione dei nuovi principi contabili Ias
sul patrimonio di vigilanza di Bpi, ma anche « il mancato rispetto da parte
della Bpi degli impegni assunti in precedenza con la Vigilanza » , e la «
violazione di numerose norme di legge » , a seguito degli accertamenti operati
dalla Consob. Tra questi la « violazione delle regole di corretto esercizio
del credito, commesse per importi significativi e con riferimento a una pluralità
di prenditori » in relazione ai fidi concessi a correntisti nell'ambito della
scalata ad AntonVeneta « per un valore complessivo di almeno 1.118 milioni
di euro, caratterizzati da un profilo di rischio elevatissimo, accordati
in genere senza il rilascio di alcuna garanzia » e nella maggior parte dei
casi « il giorno stesso della richiesta o quello successivo » . « Si tratta
di violazioni che assumono rilievo anche sotto il profilo dell'affidabilità
degli assetti organizzativi e dei controlli interni » .

Ma le contestazioni riguardano anche « l'omessa comunicazione » del patto
accertato dalla Consob, « in assenza della preventiva autorizzazione della
Banca d'Italia » . Inoltre, si legge ancora nel documento, « sono state disattese
le prescrizioni impartite dalla Banca d'Italia circa l'esigenza di una costante
copertura patrimoniale delle partecipazioni via via acquisite » , con la
conseguente « diminuzione del patrimonio di Bpi al di sotto del limite prescritto
dalla normativa, per importi significativi e per un certo lasso di tempo
» .
E, in questo contesto, i servizi di Vigilanza imputano a Bpi anche di non
aver segnalato alla Banca d'Italia l'opzione put con scadenza 2008 concessa
a Deutsche Bank nel 2003 per 330 milioni, di cui Bpi « non ha tenuto conto
ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza » e « i cui effetti sulla
situazione patrimoniale pregressa sono in corso di valutazione » .

L'istruttoria dava peraltro atto alla Popolare lodigiana che il piano industriale
presentato per l'acquisizione di AntonVeneta era « compatibile con la sana
e prudente gestione » e che le iniziative di rafforzamento prospettate, «
ove realizzate » , sarebbero state « idonee a garantire l'osservanza dei
ratio patrimoniali minimi obbligatori a conclusione dell'Opas/ Opa » . Segnalando
tuttavia nel contempo l'esistenza di « significative incertezze sulla stabilità
dei mezzi propri e sulla posizione patrimoniale prospettica della Bpi, connesse
anche con l'impatto degli impegni contrattuali assunti per la real i z z
a z i o n e dell'operazione, fatti salvi eventuali ulteriori elementi che
potrebbero emergere n e l l ' a m b i t o dell'accertamento ispettivo » ,
avviato il 20 giugno scorso.
Non sono bastati però gli elementi a favore a convincere i due dirigenti
a dare il benestare all'operazione. Le irregolarità accertate a carico di
Bpi, conclude la relazione, « sono tali da inficiare la capacità di Bpi di
assicurare la sana e prudente gestione di Bapv » , anche perchè funzionali
a « un più generale disegno volto ad acquisire il controllo di Bapv in violazione
della normativa vigente » .

25 agosto 2005




CORRIERE DELLA SERA
24 agosto, 2005
«Ispezioni mirate ai ribelli? In Via Nazionale sapevamo»
Il segretario del sindacato interno Fabi, Maranesi: nel palazzo è notizia
diffusa. La smentita di Bankitalia

ROMA - «Confermiamo che anche per noi la notizia era ampiamente diffusa a
Via Nazionale». Sono parole di Angelo Maranesi, il segretario della Fabi,
uno dei sindacati della Banca d' Italia. A palazzo Koch c' era quindi chi
sapeva, continua il sindacalista, «di un' imminente ispezione interna nei
confronti dei due servizi guidati da Giovanni Castaldi e Claudio Clemente,
il quale peraltro ci risulta rientrato anticipatamente il giorno 16 agosto
dalle ferie». E afferma che «solo un sano e prudente ragionamento di opportunità
avrebbe fatto desistere la banca da tale proposito». Una ricostruzione che
coincide con quanto pubblicato ieri dal Corriere su una ispezione nei confronti
dei due dirigenti della Vigilanza autori del parere negativo sulla scalata
Antonveneta che sarebbe stata ventilata dal governatore di Bankitalia Antonio
Fazio. Un fatto che gli stessi sindacati definiscono «senza precedenti»,
ma che poi non avrebbe avuto seguito anche per le perplessità manifestate
all' interno della banca. Non ultime, secondo quanto riferito da autorevoli
fonti della banca, quelle del direttore generale Vincenzo Desario, titolare
della delega sull' Ispettorato banca (struttura che avrebbe dovuto eseguire
materialmente l' ispezione). Ieri la Banca d' Italia ha smentito ufficialmente
definendo i contenuti dell' articolo del Corriere «destituiti di ogni fondamento».
La Fabi ha replicato chiedendo perché «di fronte alle notizie sulle intercettazioni
telefoniche operate dalla magistratura e dalla Finanza, compromettenti il
buon nome» di Bankitalia, «alla richiesta di un' immediata smentita abbia
fatto seguito un imbarazzante silenzio da parte di Fazio». Il capo del sindacato
dirigenti, Omero Papi, ha invece detto di non essere a conoscenza di dissapori
fra Fazio e Desario, né di una ispezione «già» avviata. Ma ha ribadito di
essere pronto «a difendere i condirettori generali coinvolti nella vicenda
Antonveneta, che hanno fatto solo il loro dovere». Compreso quello (uno degli
elementi contestati a Clemente e Castaldi), di aver consegnato direttamente
ai magistrati la loro relazione sulla scalata di Gianpiero Fiorani. «Se un
dipendente della banca viene chiamato da un giudice è tenuto a rispondere»,
ha detto Papi. «Può capitare - ha sottolineato - che nel corso di un colloquio
un magistrato ritenga di acquisire un documento in possesso di chi viene
interrogato». Mentre il giallo dell' ispezione attende di essere risolto,
si avvicina la data del 26 agosto, giorno in cui è stato convocato il Comitato
per il credito dove Fazio, ha detto ieri il ministro dell' Ambiente Altero
Matteoli, di An: «dovrà dire se si è mosso nell' ambito delle proprie competenze
o è andato oltre». Ma si avvicina anche il momento in cui il tema della riforma
(o dell' autoriforma) di Bankitalia dovrà essere affrontato. Ieri il presidente
della Camera Pier Ferdinando Casini si è augurato che «la legge sul risparmio
sia fatta entro la fine dell' anno». E Vannino Chiti, della segreteria dei
Ds, ha annunciato che il centrosinistra chiederà di mettere la legge all'
ordine del giorno del Senato, alla ripresa dei lavori. Invitando la maggioranza
«a reintrodurre i tre punti su cui c' era stata convergenza: il mandato a
termine del Governatore, il ruolo dell' Antitrust nella concorrenza bancaria
e il rafforzamento della Consob». Ma per il senatore di Forza Italia Luigi
Grillo, uno dei principali sostenitori di Fazio, la strada è quella di un'
autoriforma, preceduta da una risoluzione parlamentare che indichi dei vincoli
entro i quali procedere. Sergio Rizzo
Rizzo Sergio




IL SOLE 24 ORE
25 agosto 2005
la vigilia del cicr
Bankitalia, sciopero anti-Fazio

La Falbi: «Dimissioni o autosospensione entro settembre o siamo pronti a
mobilitarci per tutelare l'istituzione». Il mondo cattolico fa quadrato:
da Andreotti e Buttiglione no all'accantonamento del numero uno di Via Nazionale.
di Isabella Bufacchi

I dipendenti della Banca d'Italia sono pronti a proclamare uno sciopero senza
precedenti contro il Governatore se entro settembre Antonio Fazio non si
sarà autosospeso o non avrà rassegnato le dimissioni su sollecitazione del
Governo. È questo l'ultimatum lanciato ieri dalla Falbi, il sindacato che
rappresenta la maggioranza dei lavoratori di Bankitalia, sceso sul piede
di guerra alla vigilia della riunione del Cicr di domani sulle Opa bancarie.
Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, o al più tardi
il prossimo Consiglio dei ministri, potrebbe rivelarsi però il palcoscenico
di una storia con tutt'altro copione rispetto a quanto reclamato dai sindacati:
l'uscita di scena morbida del numero uno di Palazzo Koch, che potrebbe farsi
da parte di sua volontà tra circa un anno in coincidenza con l'entrata in
vigore di un'autoriforma di Via Nazionale imperniata su mandato a termine
e collegialità.
A favore di un finale senza traumi alla carriera in Via Nazionale di Fazio
sono intervenuti ieri dal meeting di Rimini di Comunione e Liberazione due
alti esponenti politici del mondo cattolico. Dando voce e soprattutto nuovo
vigore al sostegno per il Governatore della Chiesa. Per il ministro dei Beni
culturali, Rocco Buttiglione, Fazio ha fatto bene a non dimettersi « perchè
c'è stata un'offensiva non sempre trasparente contro di lui » .

Mentre l'uomo merita « prima di tutto stima per la sua statura morale » .
Sulla stessa lunghezza d'onda il senatore Giulio Andreotti: « Fazio è un
cattolico non integralista bensì integro » , finito sotto gli attacchi «
intimidatori » dei governanti e del cecchinaggio. Sempre da Rimini, il leader
della Margherita Francesco Rutelli ha pronosticato: « Sarebbe auspicabile
una significativa convergenza tra maggioranza e opposizione sulla riforma
di Bankitalia: se ci fosse, quella riforma si potrebbe fare da subito » .
La Falbi intanto ha dato dimostrazione ieri, minacciando il primo sciopero
contro il Governatore nella storia ultracentenaria della Banca d'Italia,
di non volersi rassegnare alla prospettiva di Fazio in carica fino alla prossima
estate. « Sarebbe grave e irresponsabile se la riunione del Cicr si trasformasse
in una pantomima » ha tuonato il segretario generale della Falbi Luigi Leone,
evidentemente fiutando l'aria che tira nella Casa delle Libertà a poche ore
dal Cicr. « Fazio ha recato danno alla credibilità e al prestigio dell'istituto
? ha denunciato Leone ? e sarebbe opportuno che si autosospendesse. Il Governo
ha scelto l'inerzia ma siamo pronti a una mobilitazione per tutelare l'istituzione
» .

La Falbi Consalp, in tandem con il Sibc Cisal, rappresenta circa il 70% dei
dipendenti di Bankitalia. Ma è pronta in settembre a invitare gli altri sindacati
per proclamare uno sciopero pro dimissioni. I sindacati in Via Nazionale
sono in tutto sette: oltre a Falbi e Sibc, Fisac Cgil, Fiba Cisl, Uilca Uil,
la Fabi e il Sindirettivo Cida. Tutti, con toni più o meno bellicosi, hanno
chiesto le dimissioni del Governatore. « C'è un problema di scollamento tra
il Direttorio e la struttura, tra il Governatore e la Vigilanza, che non
ha precedenti ed è gravissimo » , ha commentato Paola Brunetti della Fisac
Cgil. Il fatto che Fazio possa rimanere in sella per altri dodici mesi preoccupa
non poco i sindacati: « I dipendenti non lavorano tranquilli, si vive in
un clima di terrore dentro Palazzo Koch perché si teme la resa dei conti
del Governatore che già in passato si è dimostrato vendicativo nei confronti
del personale non allineato alle sue opinioni » , è stato il commento di
una fonte sindacale.

«Una delle ricchezze della Banca d'Italia era la convivenza di correnti di
pensiero diverse ? ha ricordato Brunetti ? ora non è più così » . I sindacati
della Banca d'Italia, in passato molto divisi, hanno già combattuto da un
fronte unico una battaglia contro Fazio in occasione della modifica unilaterale
dell'articolo 28 del contratto del personale apportata da Governatore. La
Falbi intende ricompattare i sette sindacati attorno allo sciopero per le
dimissioni.
Ma sui tempi dell'uscita di scena del Governatore, alcuni premono sull'acceleratore,
invocando le dimissioni immediate, altri preferiscono una soluzione " soft".
25 agosto 2005




IL SOLE 24 ORE
25 agosto 2005
l'inchiesta
Un filo rosso lega Bipop alla Lodi
di Claudio Gatti

L'ascesa e la caduta di Bruno Sonzogni, amministratore delegato di Bipop,
e l'ascesa e la caduta di Gianpiero Fiorani: sono i due momenti topici del
governatorato di Antonio Fazio. E un filo rosso li collega.
Non solo perché sono i momenti più difficili di Fazio a Palazzo Koch; ma
perché un'inchiesta del Sole 24 Ore porta a pensare che abbiano radici comuni.
E perché in comune hanno anche un personaggio: Gennaro D'Amico, l'ex dirigente
di Banca d'Italia passato alla Banca Popolare di Lodi al quale la magistratura
milanese ha attribuito il ruolo chiave di " trait d'union tra la Bpl e l'organo
di vigilanza" nella trattativa che ha permesso a Fiorani di ottenere l'autorizzazione
a procedere con la sua Opa su AntonVeneta.
Cresciuto e addestrato alla scuola della Vigilanza della Banca d'Italia,
Gennaro D'Amico era considerato uno dei giovani dirigenti di maggiore spicco.
Nell'ottobre 2001, quando esplose il bubbone della Bipop, era il capo della
Divisione Analisi e Interventi 3, e in quanto tale, responsabile dell'unità
tecnica che doveva vigilare sulla banca bresciana. Aveva assunto quella posizione
nel 1999, e cioè proprio l'anno in cui era previsto che venisse riesaminata
la questione della governance della Bipop.

La banca era allora in piena fase di sviluppo ma non si era ancora lanciata
in quella serie di acquisizioni culminata con il takeover della banca tedesca
Entrium che avrebbe portato il titolo al collasso. L'ultima ispezione alla
Bipop, condotta tra l'aprile e il luglio del 1997 dal capo ispettore Umberto
Proia e sei suoi collaboratori, aveva trovato dei chiari punti deboli nella
governance. In particolare l'eccessiva concentrazione di potere nelle mani
dell'amministratore delegato e direttore generale Bruno Sonzogni.
« Esorbitante è il carico di responsabilità e scelte che ... finisce per
essere demandato al vertice dell'esecutivo,... negletti o trascurati sono
poi i meccanismi di delega e i limiti operativi riferiti al rischio finanziario
assunto dalla Popolare e/ o controllata Fineco Sim » , si legge nel rapporto
ispettivo, che prosegue: « Meritano di essere profondamente riesaminate filosofia
e struttura delle funzioni di auditing » .

Gli ispettori avevano scoperto inoltre che il direttore centrale della Bipop
Andrea Mennillo, che sarebbe poi risultato personaggio chiave nel processo
di acquisizione di istituti esteri, era stato protagonista di un'operazione
riguardante 52 assegni circolari da 15 milioni di lire l'uno seguita da ciò
che viene definito « irrituale prelevamento in contanti di lire 1.000 milioni
» .
Era compito di D'Amico marcare stretto una banca con tali problematiche.
Eppure, nonostante il rapporto ispettivo di Proia terminasse raccomandando
esplicitamente una nuova ispezione dopo due anni, passarono ben quattro anni
senza che venisse fatto nulla. « Come più tardi Fiorani, Bruno Sonzogni allora
era considerato una star della finanza meritoria di carta bianca » , spiega
un ex funzionario della Vigilanza.
Nel febbraio del 2001, con il titolo Bipop in caduta libera, D'Amico ebbe
un incontro negli uffici della Vigilanza con il condirettore generale e "
delfino" di Sonzogni, Maurizio Cozzolini. Il 20 marzo stilò un " appunto"
in cui sottolineò « la rilevante esposizione » del gruppo Ardesi, primo azionista
di Bipop spiegando che, dopo aver incrementato di 959 miliardi la sua esposizione
verso il sistema bancario, col crollo del titolo Bipop aveva già perso 412
miliardi. Ma neppure allora invocò una nuova ispezione, limitandosi a sottolineare
« l'interesse della Vigilanza a seguire le dinamiche di corporate governance
» della Bipop.

L'ispezione partì il 24 ottobre successivo, quando si era già attivata la
magistratura e la Bipop era ormai in agonia.
« Nel rapporto del 1997 era scritto a chiare lettere che le carenze individuate
in Bipop meritavano di essere riesaminate dopo due anni e D'Amico, che faceva
la vigilanza ordinaria su quella banca, doveva assicurarsi che anche la vigilanza
ispettiva fosse fatta per tempo » , commenta un ex funzionario della Vigilanza.
« Se ciò fosse avvenuto si sarebbe forse potute prevenire l'insensata corsa
alle acquisizioni estere » .
Quella della Bipop non fu l'unica banca lombarda a lanciarsi in una famelica
crescita durante il turno di guardia di D'Amico. Lo stesso successe con la
Popolare di Lodi.
« La Lodi era una banchetta locale senza infamia e senza lode che divenne
però problematica in seguito a tutte le sue acquisizioni » , spiega un ex
funzionario della Vigilanza. « Con la chiara benedizione del governatore,
cominciò a fagocitare banche soprattutto al Sud e al Centro pur non avendo
i mezzi patrimoniali per farlo. Mi risulta che il patrimonio di vigilanza
del gruppo Lodi sia arrivato a viaggiare ampiamente sotto il minimo richiesto
di coefficienti patrimoniali dell' 8% » .

« Il Sole 24 Ore » è venuto a sapere che per anni la Lodi era ricorsa all'emissione
di passività subordinate o strumenti ibridi di patrimonializzazione nonché
a escamotage contabili quali l'inserimento a bilancio di plusvalenze su asset
patrimoniali di banche acquisite, tutti meccanismi tecnicamente permessi
ma solo se entro certi limiti e non in maniera sistematica.
Di fronte alla cronica inadeguatezza patrimoniale della Lodi, alla fine del
2000 la Vigilanza decise di fare un'ispezione. « Venne inviato sempre Umberto
Proia con il compito di esaminare i coefficienti patrimoniali » , ricorda
la nostra fonte. « In quell'occasione Fiorani rivelò a Proia quello che avrebbe
poi realizzato anni dopo: fare della Lodi una grande banca nazionale che
avrebbe ribattezzato Banca Popolare Italiana.
Quando Proia gli fece osservare che non ne aveva i mezzi, la risposta di
Fiorani fu pronta: « Se avessi i mezzi non avrei bisogno di esser bravo »
.
Nel rapporto ispettivo risulta che Proia descrisse i complessi meccanismi
elusivi usati dalla Lodi per far sì che i coefficienti risultassero adeguati
a fronte degli scarsi mezzi patrimoniali.

« Il rapporto fece notare che applicando correttamente la normativa, anziché
all' 8%, come da loro esposto, i coefficienti della Lodi stavano attorno
al 4%.
Sballavano alcune migliaia di miliardi di ratio, solo in parte recuperati
dall'aumento di capitale di 500 miliardi che Fiorani varò proprio in corso
di ispezione » , ricorda un attuale funzionario della Banca d'Italia a conoscenza
dei fatti in questione. « Tra l'altro la Lodi stessa non ebbe difficoltà
a prenderne atto. C'è infatti un allegato al rapporto che dimostra che la
banca ci spiegò di aver interpretato male la normativa riconoscendo che la
sua applicazione corretta avrebbe portato a ratios inadeguati. Ma qui non
si parla di piccolezze: il 4% significa che se saltano posizioni di rischio
la banca va in crisi » .
In Vigilanza la strategia di Fiorani era evidente: puntava a crescere acquisendo
a due lire banche più o meno decotte oppure rilevandone altre a caro prezzo.
In questo modo aumentava la propria rete di sportelli da usare sia per accumulare
liquidità che per sottoscrivere gli aumenti di capitale necessari per cercare
di mantenere i coefficienti patrimoniali entro limiti accettabili alla banca
centrale.

« Con una banca a cui si lasciano fare acquisizioni, soprattutto se intese
a salvare altri soggetti in difficoltà, entro certi limiti, è normale che
la Vigilanza chiuda un occhio » , spiega un ex funzionario di quel servizio.
« Il problema è che questo approccio friendly è a forte rischio di abuso
se accompagnato da una gestione personalistica del vertice della Banca centrale
» .
« Le normative nazionali e internazionali vedono nell'adeguatezza patrimoniale
il primo pilastro dell'azione di vigilanza, ma la banca centrale ha sempre
appoggiato la strategia di crescita di Fiorani nonostante i suoi ritmi forzati
rendessero i coefficienti della Lodi insoddisfacenti. Applicando regole prudenziali,
in quegli anni il patrimonio della Lodi sarebbe dovuto infatti essere considerato
inadeguato. Anche perché ogni nuova acquisizione faceva sforare ulteriormente
i coefficienti. Ma la Banca d'Italia ? e qui non si parla tanto di D'Amico
quanto del vertice? continuò a permetterglielo. Fiorani rimediava con aumenti
di capitale in cui coinvolgeva in modo estremamente aggressivo le stesse
reti di vendita delle banche acquisite » , dice un'altra nostra fonte.

Sintomatica dell'aggressività delle sue campagne di sottoscrizione di titoli
è una lettera che « Il Sole 24 Ore » ha scoperto essere stata inviata dalla
Lodi a un importante gruppo bancario. In tale missiva lo si accusava di aver
causato le perdite sul mercato dei derivati subite da una banca controllata
dalla Lodi. Si minacciava inoltre una causa da centinaia di milioni di euro.
Unica via d'uscita prospettata per evitare il danno: partecipare a un aumento
di capitale della Lodi ( la banca rifiutò, fu chiamata in causa e vinse).

La stessa modalità di crescita della Lodi a forza di Opa su casse di risparmio
e popolari del Centro Sud fu del resto frutto di una forzatura giuridica.
Tecnicamente non si sarebbero potute fare Opa su cooperative o istituzioni
come le popolari con il principio del voto capitario. Ma a partire dalla
metà degli anni 90, la Vigilanza trovò uno stratagemma tecnico permettendo
le Opa purché condizionate alla trasformazione in Spa dei soggetti acquisiti.
Il co autore dell'articolo di diritto con cui la Vigilanza presentò le argomentazioni
giuridiche che giustificavano questa scelta fu proprio Gennaro D'Amico, giurista
di formazione ed esperto di popolari.
Varie popolari del Nord e dell'Emilia Romagna usufruirono di questa decisione,
ma la maggior beneficiaria fu di gran lunga la Lodi.

A forza di acquisizioni di istituti in difficoltà, Fiorani riuscì a crescere,
ma la sua rimaneva pur sempre una banca medio piccola afflitta da problemi
endemici di coefficienti patrimoniali. Solo fagocitando un boccone del calibro
dell'Antonveneta avrebbe potuto coronare il suo sogno. E in un'operazione
di quella portata un uomo come D'Amico sarebbe stato prezioso.
Nel 2003, nel pieno della campagna acquisti della Lodi da lui stesso tollerata,
D'Amico decise di lasciare Banca d'Italia. La sorpresa tra i suoi colleghi
fu grande quando vennero a sapere che la destinazione iniziale non era una
banca bensì una finanziaria legata al mondo bresciano da lui conosciuto nel
periodo della vicenda Bipop: la Hopa. Ma fu solo un passaggio intermedio.
Pochi mesi dopo si trasferì a Lodi. Una mossa altrettanto controversa. «
In banca centrale quel trasferimento non fu ritenuto bello » , ricorda un
ex funzionario della Banca d'Italia. « Anche perché l'istituto dove era andato
era di calibro medio basso e gestito da operatori noti per la loro spregiudicatezza
» .
D'Amico non era il primo funzionario strappato da Fiorani a Banca d'Italia.
Due anni prima era successo anche con Rodolfo Cavallo, sempre della Vigilanza.
Seppur chiacchierata, per la Banca d'Italia quella di Cavallo era stata però
una fuoriuscita relativamente indolore.
« Cavallo apparteneva alla vecchia guardia della vigilanza, quella che non
dipendeva da una forte capacità analitica, e non era evidente quale fosse
la professionalità tecnica che avrebbe potuto essere utile a Fiorani » ,
sostiene un suo ex collega. « Al contrario di D'Amico, che è un tipo chiuso
e molto distaccato, Cavallo è una persona molto gioviale, un simpaticone.
A Fiorani probabilmente serviva in quanto uomo di rapporti ben introdotto
in banca » .

Con D'Amico era diverso. Era un dirigente più alto, molto stimato all'interno
della Vigilanza. Il Governatore stesso non poteva non esser stato informato
della sua intenzione a lasciare.
« Un conto era che andasse via Cavallo. Un altro conto D'Amico » , spiega
una nostra fonte. « Era un capo di divisione, una persona molto più in vista
e con un potenziale conflitto di interessi maggiore. Anche perché in possesso
di informazioni altamente riservate » .
D'Amico aveva anche il know how che avrebbe contribuito a trasformare una
" banchetta senza infamia e senza lode" in un grande istituto nazionale.
Se infatti c'era qualcuno che poteva far fronte al cronico problema dei coefficienti
patrimoniali e dei ratios era la persona che per anni li aveva osservati
con gli occhi del vigilante.

Secondo la magistratura, fu proprio D'Amico, assieme al direttore finanziario
Granfranco Boni a studiare gli escamotage finanziari e le vendite fittizie
di partecipazioni intese a migliorare artificialmente i ratios. « Erano infatti
D'Amico e Boni a gestire i rapporti con le società di riferimento ( nelle
vendite fittizie, ndr), ossia la Deutsche Bank, la Dresdner, la Bnp Paribas,
la Societè Generale e da ultimo la Earchimede e la Gp Finanziaria » , si
legge nell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo.
D'Amico aveva ovviamente un altro atout: alla Vigilanza aveva a che fare
con ex colleghi e amici di una vita. In primis c'era il titolare della Divisione
Analisi e Interventi 2 Stefano De Polis, e cioè il dirigente formalmente
responsabile dell'istruttoria sulla Lodi. I due erano vecchi amici sin dai
tempi in cui avevano fatto assieme la gavetta nella filiale di Trento.

D'Amico conosceva bene anche Claudio Clemente, il capo della divisione che
avrebbe dovuto firmare l'autorizzazione all'Opa su AntonVeneta.
Per anni avevano lavorato fianco a fianco, compresa la vicenda Bipop. Ma
in questo caso l'amicizia non è bastata: come è noto, forse temendo l'intervento
della magistratura, Clemente si è rifiutato di dare il suo " ok" con un atto
di ribellione al volere del governatore senza precedenti. Per questo Fazio
è stato costretto a intervenire personalmente e capovolgere il parere della
sua tecnostruttura con l'ausilio di tecnici esterni. Ultima e più clamorosa
dimostrazione di un approccio alla vigilanza definito « verticistico » da
molti ex funzionari della banca.
25 agosto 2005

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