Cronaca delle devote imprese egiziane

Ramon Berenguer IV
00venerdì 11 settembre 2009 20:48
Campagna Full con Bellum Crucis 5.1 a difficoltà VH/VH
[SM=x1140501]
Ho iniziato la campagna con i Fatimidi, e presto arriveranno pagine di cronache. Spero di migliorare ancora rispetto alla cronaca aragonese, che era la mia prima. Se aveste consigli da darmi, postate pure le vostre idee. [SM=x1140430]

P.S.
Spero di non commettere erroracci storici.
Ramon Berenguer IV
00venerdì 11 settembre 2009 20:57
Cominciamo bene: doppio post! Scusate.
Ramon Berenguer IV
00domenica 13 settembre 2009 00:20
Signore e signori, ecco a voi l'Egitto... [SM=g27965]

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PRIMA PARTE: “La ripresa dello stato egiziano (533-550)”

Dopo che nell’anno 508 (1130 d.C.) dall’Egira il califfo fatimida al-Amir fu assassinato, e il potere passò a suo fratello al-Hafiz, lo stato egiziano piombò in una terrificante crisi di corruzione e slealtà. I cuori dei fedeli musulmani, faticarono a seguire le intricate vicende dei numerosi capi che si susseguirono in pochi anni, uccidendosi a vicenda. E approfittando di questo momento di confusione e debolezza, i cani franchi del Regno Crociato di Gerusalemme occuparono Ascalona, ricca città costiera. Tristemente, i fatimidi non furono neanche in grado di abbozzare una reazione, per cui il duro colpo passò nel silenzio.
Questa era la situazione geografica del Sultanato fatimida d’Egitto:
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Finalmente, nel 533 (1155 d.C.), prese il potere il sultano al-Zafir, un personaggio più devoto ad Allah dei suoi predecessori. Oltre ad essere un buon credente, egli era, nei suoi 49 anni, un uomo sano e amante degli studi matematici.
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L’obbiettivo che questa ennesima guida si poneva, era quello di ripristinare almeno una parvenza di stabilità nello stato egiziano. Dunque, il Sultano diede inizio a una politica di ampliamento delle strutture commerciali e agricole delle province del sultanato. Purtroppo, per compiere questo duro lavoro, erano necessari soldi e uomini fedeli, e al momento vi era carenza di entrambi. I figli del Sultano erano troppo giovani per poter essere nominati eredi; quindi, il Principe ereditario era Talì ibn-Russik, il quale si mostrava leale al suo signore. Ma è facile essere leali quando si è in posizioni privilegiate.
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Comunque, Talì era un esperto stratega, il migliore allora disponibile ai fatimidi, pertanto gestiva la delicata provincia di Dumyat, al confine con lo stato crociato; era quella una zona nevralgica per il sultanato, giacché solo quella provincia separava dei possibili invasori dai ricchi granai del Nilo. Degli altri, numerosi, generali egiziani, nessuno spiccava per personalità o fedeltà; ma il Sultano aveva notato che i meno fedeli al suo regime, erano i governatori delle città più meridionali del Nilo, che non si facevano scrupoli a “fraintendere” le parole del loro signore.
Al-Zafir, per il bene del suo popolo e della vera fede, mandò diversi imam in viaggio per i suoi territori, al fine di diffondere maggiormente la fede fra le genti, i cui pensieri in tempi di confusione, diventavano facilmente empi e poco rispettosi. Dato che con il passare di alcuni anni, la situazione appariva tranquilla, il Sultano decise che era il caso di attuare provvedimenti deplorevoli ma necessari: le tasse vennero alzate ovunque, giacché il tesoro del sultanato, era tutto andato speso nelle nuove edificazioni. Questa fu una mossa difficile da compiere, e il signore d’Egitto dimostrò un notevole coraggio nella sua decisione. Tale provvedimento era ovviamente insufficiente a risolvere i problemi economici, così al-Zafir diede ordine che un emissario fosse inviato presso la corte del falso re di Gerusalemme, per proporre trattative commerciali. Nel 534 (1156 d.C.), l’emissario fatimida Fahim, giunse dunque a Gerusalemme.
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Egli era uno scrupoloso uomo di cultura, che amava visitare nuovi luoghi per apprenderne le usanze e la storia; per lui, visitare la città più contesa del mondo, fu una grande gioia. Venne accolto in un’atmosfera stranamente rilassata, e non ci furono difficoltà di sorta nell’ottenere un reciproco scambio di mappe, e dei proficui accordi di commercio. A quanto pareva, l’attuale re di Gerusalemme Baldovino III, non desiderava che ci fossero rancori per la presa a tradimento di Ascalona.
Considerati i primi successi nella politica interna, la condotta di al-Zafir, cominciò a riscuotere successi, e il suo prestigio aumentò. Era pur vero, però, che a fin di bene il Sultano teneva nascosto il fatto che il bilancio monetario del sultanato fosse in rosso. Il Concilio dei nobili signori d’Egitto, ritenne opportuno intavolare trattative con i fratelli di credo dell’Atabeg Jazira, recentemente unificato con la conquista di Damasco da parte dell’intraprendete Nur-ad-Din. Come ogni buon credente dovrebbe fare, i siriani accolsero onorevolmente l’emissario Fahim, e accettarono di stipulare un’alleanza e trattati commerciali, con i loro amici fatimidi.
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Uno spiraglio del genere poteva significare molto: che magari la divisione del grande popolo musulmano, che aveva permesso agli infedeli di conquistare i luoghi sacri di Gerusalemme, potesse essere risanata? Con tale speranza,i nobili fatimidi richiesero che fossero presi accordi anche con i Turchi Selgiuchidi. Anche da costoro, Fahim fu accolto da vero amico, e non fu difficile contrarre una nuova alleanza. Tuttavia, il Sultano non poteva compiacersi troppo dell’affabilità del suo emissario, perché in patria la situazione economica a lungo nascosta, cominciò a trapelare agli occhi della gente, quando si iniziò a notare che terminati i primi ampliamenti, le costruzioni non venivano ulteriormente espanse; inoltre, in tutte le città, vennero sciolti grandi gruppi di armati. Il Sultano e il suo Principe, scelsero di adottare numerosi credenti, in modo da mandare questi fedeli generali nelle città più distanti dalla capitale egiziana, Al Qahira, e raggruppare i generali più indisciplinati nelle regioni vicine al vigile occhio del Sultano al-Zafir. Naturalmente la menzogna, seppur a fin di bene, non poté rimanere segreta ancora per molto. Quando si seppero in giro le reali condizioni del tesoro, il prestigio del Sultano calò a picco, e molti nobili scelsero di schierarsi apertamente contro la loro guida, creando un elevati rischio di guerra civile. Oltre al Principe ereditario, rimasero fedeli al loro capo i generali Reis Ali e Shawar. La fedeltà di quest’ultimo fu un’ottima cosa, giacché Shawar era l’eccezionale governatore di Al Quahira. Un dramma familiare si consumò quando il figlio adottivo del Principe Talì, Adid Gamal, rinnegò pubblicamente il patrigno e parlò a favore dei rivoltosi. Talì, con grande dolore, dovette far esiliare il figlio dal castello di Dumyat, e fu un atto generoso, poiché la pena solitamente commisurata ai traditori del proprio sangue, era la morte. Comunque, dopo quell’evento, il Principe fatimida sviluppò una sorta di paranoia in forma leggera, per cui non riuscì mai più a fidarsi fino in fondo delle persone che gli stavano attorno.
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Dopo lunghi sforzi, però, la politica di tagli di al-Zafir, ebbe finalmente successo, e nuovi, seppur deboli, introiti, giunsero nelle tesorerie di Al Quahira e Al Iskandarya. Con essi, venne subito avviata la costruzione di un nuovo mercato nella capitale, in modo da mostrare che finalmente chi aveva seminato raccoglieva i suoi frutti. Nel 537 (1159 d.C.), Fahim l’emissario si trovava nell’Anatolia meridionale, e fece sapere con messaggi al suo Sultano, che la città indipendente di Adana era stata conquistata dal Regno Crociato; l’espansione degli infedeli preoccupò tutto l’Islam, e il Sultano al-Zafir si volle arrabattare alla ricerca di altri potenziali alleati contro i franchi. L’occasione di trovare tali alleati, si presentò quando una guerra scoppiò fra i bizantini e il Regno Crociato.
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Il Sultano egiziano, decise di stabilire nuovi accordi anche con l’Impero dei cristiani di Costantinopoli. Dunque, il diplomatico Fahim si rimise in viaggio, attraversando le selvagge terre turche, dirigendosi verso la poderosa città bizantina. In patria, intanto, la nuova distribuzione dei generali nelle varie posizioni di potere, consentì di tenere sotto controllo i possibili ceppi di ribellione. Inoltre le casse del sultanato tornarono a ospitare sempre più oro, e di conseguenza la popolazione si sentì meno incline a criticare la propria guida politica e spirituale; finalmente, il prestigio di al-Zafir, tornò a crescere.
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Quando il tempo volse all’estate del 538 (1160 d.C.), Fahim giunse alla possente corte bizantina, dove restò stupefatto dalla seconda Roma. Notando la sua curiosità, l’imperatore Manuele Comneno gli fece visitare il suo dominio in lungo e in largo, e ciò favorì certamente lo stipulo di un’alleanza fra due popoli tanto diversi. Si conclusero anche altri vantaggiosi accordi, sia per i fatimidi, che per i bizantini, quali diritti di commercio e scambi di mappe. Volle la sorte che, proprio dopo l’alleanza con i bizantini, una spia del Sultano al-Zafir, che da tempo teneva d’occhio la Palestina, fosse scoperta mentre sondava la consistenza delle truppe di presidio al castello di Kerak. Gli infedeli non presero bene la notizia, e le relazioni fra lo stato egiziano e quello crociato, divennero di colpo piuttosto scadenti.
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Una guerra in un momento tanto delicato, però, era tutt’altro che auspicabile, e la guida dei fatimidi cercò di evitare che ci fossero altri motivi di contrasto fra due stati già rivali da tempo. Inoltre, per prudenza, il Sultano, fece iniziare la costruzione di una nuova caserma a Dumyat. A parte quel castello, però, in tutti gli altri centri del sultanato fu avviata la costruzione di strutture commerciali.
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Al-Zafir, infatti, vedeva nel potenziamento del commercio la soluzione alla situazione economica del suo paese; per tale motivo, fece stipulare accordi commerciali anche con i Magiari, e i Cumani – cosa di cui i nobili furono molto felici – , inviando fra l’altro molti mercanti a valorizzare le preziose risorse egiziane.
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Ad Al Qahira, poi, fu concessa l’autorizzazione per la costruzione di una gilda dei teologi, che portasse nuovo splendore alla fede islamica, diffondendone le tradizioni e i concetti originari. Quando giunse l’anno 541 (1163 d.C.) dall’Egira, per tutto il sultanato erano in corso lavori di costruzione, e l’economia tendeva a produrre un buon incasso stagionale. Tuttavia, le torri di confine a est di Dumyat avvistarono preoccupanti assembramenti di truppe crociate.
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Pur temendo un attacco, il Sultano non poté autorizzare il reclutamento di nuovi reparti, onde evitare un appesantimento eccessivo delle spese nel bilancio economico, che era in una delicata fase di crescita. Nel 542 (1164 d.C.), il figlio naturale primogenito di al-Zafir, raggiunse la maturità; il suo nome era al-Fa’iz.
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Il giovane era impetuoso e ingenuo, tanto che molti lo pregavano di badare maggiormente alla sua sicurezza; ma egli confidava devotamente in Allah, che sa quando una vita deve finire e quando no. Inoltre era un tattico promettente, ma non un governatore esemplare. Purtroppo, i suoi rapporti col padre si inclinarono, e al-Fa’iz provava un leggero disprezzo verso quell’uomo, che pur avendo lui raggiunto la maturità, aveva lasciato che il Principe ereditario fosse Talì ibn-Russik. Pertanto, il “giovane diseredato”, come fu soprannominato dal popolo, partì da Al Iskandarya, e si mise a peregrinare lungo le sponde del Nilo, spingendosi di tanto in tanto nel deserto, che amava. Mentre questo succedeva, si era notato che nella provincia del Wahat Siwa, un eretico di nome Esau, stava radicando idee empie nei cuori delle genti del deserto. Allora, il più devoto degli imam fatimidi, Mahfouz, si recò nei luoghi di predicazione di questa serpe, e fece sì che Esau fosse condannato a morte.
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Negli anni 543 e 544 (1165-1166 d.C.), entrò nella maggiore età anche il secondogenito del Sultano, al-Adid, un giovane devoto e un attivo costruttore, e furono siglati trattati commerciali con la Serenissima Repubblica di Venezia. Ma eventi ben più spaventosi scossero le nazioni islamiche in quegli anni: il capo religioso degli infedeli, indisse una crociata verso la città siriana di Halab, situata a est della città franca di Antiochia. I popoli cristiani non persero tempo e i primi ad aderire all’invasione mascherata da sacra missione, furono gli uomini d’Ungheria.
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Nel frattempo, in Palestina, un mercante siriano di nome Abi Abas, estromise le attività di commercio di vino che gestiva un mercante fatimida.
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Restò comunque una iniziativa significativa quella di Fahim, il quale, nel suo viaggio attraverso Europa, dopo Venezia, non mancò di recarsi alla corte milanese, ottenendo patti di commercio anche lì.
La chiamata di Allah, arrivò infine per il Sultano al-Zafir, che nel 545 (1167 d.C.) morì a seguito a una violenta crisi di tosse.
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Vennero momenti di tensione, nello stato fatimida: la nomina di Talì ibn-Russik a nuovo Sultano, ebbe la conseguenza di spostare la sovranità sull’Egitto alla famiglia di quest’ultimo. Difatti, dopo essere stato formalmente riconosciuto nuova guida dai nobili riunitisi ad Al Qahira, Talì annunciò che il nuovo Principe ereditario era suo figlio al-Adid, omonimo del secondogenito del vecchio Sultano. Al-Fa’iz, il diseredato, non fece nulla. L’unico segno di protesta, fu che non si recò a onorare il nuovo Sultano alla capitale. Quel giorno pare che fosse impegnato a fare un bagno nel Nilo. Comunque, il popolo pianse caldamente per il defunto al-Zafir, poiché era stato suo il merito di riportare lo stato egiziano a una situazione interna pacifica e in via di sviluppo.
Pochi giorno dopo la cerimonia che lo ufficializzava Sultano, Talì fece convocare al-Fa’iz ad Al Qahira, e gli si rivolse privatamente, con parole fraterne. Egli non voleva che ci fossero rancori fra i due rami della famiglia, e soprattutto con lui, che aveva sempre visto come un fratello minore. Visto che il giovane diseredato rimase colpito a queste parole, e giurò fedeltà al nuovo Sultano, ricevette la nomina a capo delle forze armate egiziane. Ma l’anno 545, vedette ancora altri grandi eventi prendere forma. Dopo aver convertito molte genti all’Islam, l’imam Mahfouz, decise che era il momento di porre un obbiettivo comune a tutte le comunità islamiche, per mostrare ai cristiani come un’unione di esse, potesse essere letale. Dunque, il visionario imam predicò in lungo e in largo una Jihad verso il regno indipendente di Barqah.
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Al Fa’iz, consultatosi velocemente con il Sultano Talì, giudicò che la meta fosse anche un utile obbiettivo per l’Egitto, e dunque si affrettò a riunire degli armati e a marciare verso Barqah. Sorprendente fu la reazione delle altre fazioni islamiche: sia i Mori, ad ovest, sia i Turchi Selgiuchidi e i Siriani, a est, si affrettarono a mandare le proprie armate sante verso la terra predicata da Mahfouz. Tuttavia, una sorpresa attendeva le genti musulmane alle porte di Barqah: due potenti armate bizantine stavano già assediando il castello. Al-Fa’iz si unì agli alleati di Costantinopoli, e parlò con i capitani Pietro e Fozio, chiedendo loro di lasciare che fossero le genti musulmane a conquistare il castello. I due, però, si ostinarono, e si giunse a un accordo solo quando si decise che il castello sarebbe stato dei soldati che avrebbero conquistato la piazza centrale. Dunque, il capo delle armate egiziane, dovette pazientemente unirsi all’assedio bizantino.
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Nella primavera del 546 (1168 d.C.), al campo degli assedianti fatimidi giunsero messaggeri siriani, turchi e mori, annunciando che le loro armate erano vicine, e in caso di tradimento dei bizantini, sarebbero intervenute. Era comunque vitale prendere la piazza, onde evitare la guerra con gli alleati. A giugno, l’attacco finale al castello fu lanciato dalle forze bizantine ed egiziane congiunte. I capitani Pietro e Fozio costruirono scale, torri d’assedio e un ariete, e si posizionarono frontalmente al castello, intendendo usare la propria schiacciante superiorità numerica per travolgere i nemici. Al-Fa’iz, invece, aveva fatto costruire ai suoi uomini molte scale, e li aveva schierati sul pendio che conduceva alle mura posteriori del castello, quelle che proteggevano direttamente la piazza. Il suo piano era sfruttare la divisione delle forze nemiche, per attaccare la piazza e prenderla immediatamente.
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Comunque, c’era una cosa che nessuno degli assedianti aveva calcolato, ed era la grande preparazione delle truppe ribelli, sicuramente una preparazione non comune. L’assalto iniziò verso mezzogiorno; le truppe fatimide avanzarono a passo veloce con le loro scale, consci di non dover solo sconfiggere il nemico, ma di doverlo fare anche prima degli alleati-rivali.
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Anche i bizantini si misero subito all’opera, e presto i loro uomini dalle uniformi sgargianti, raggiunsero le mura con gli strumenti d’assedio.
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Quando gli uomini di al-Fa’iz scalarono le mura in diversi settori, non trovarono alcuna resistenza, e poterono osservare per un attimo la disposizione dei nemici: in modo imprevisto, questi si erano schierati tutti intorno alla piazza, rendendo vane le speranze degli egiziani di trovare forze divise e deboli ad attenderli. Immediatamente, accortisi che degli invasori erano sulle mura a loro più vicine, i ribelli mandarono reparti di fanteria a difendere i torrioni dai quali si poteva scendere in strada.
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E così, mentre ancora la maggior parte dei soldati era sulle scale, i difensori del castello ingaggiarono un cruento combattimento con le truppe tribali che per prime avevano scalato le mura.
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Mentre la situazione degli egiziani si aggravava, i bizantini irruppero frontalmente, sbaragliando l’unico reparto nemico che era a guardia del portone.
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Il combattimento si fece più accanito, giacché i fatimidi dovevano compiere una santa missione, e non avevano la minima intenzione di fallire. Finalmente, un tratto di mura fu sgomberato dai nemici, e gli arcieri poterono prendere posizione per rispondere allo spietato fuoco nemico che proveniva dalla piazza.
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Mentre ciò avveniva e i fatimidi ottenevano coraggiosamente il possesso delle mura, i bizantini furono bloccati in strada da degli agguerriti reparti di lancieri nemici, ben decisi a non farli passare.
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A questo punto, con le sue truppe che si schieravano di fronte alla piazza scendendo dalle mura, al-Fa’iz entrò nel castello dal portone sfondato dagli alleati di Costantinopoli, galoppò impetuosamente verso i nemici, e li caricò, iniziando la carneficina nella piazza. E le armature splendenti dei cavalieri del seguito, si tinsero di rosso, continuando a mandare bagliori alla luce del sole.
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Finalmente anche la fanteria attaccò gli ultimi ribelli che resistevano, mentre solo i rincalzi riuscirono a salvare i bizantini dalla sconfitta contro due miseri reparti di lancieri nemici. Ma oramai era fatta, Allah aveva concesso alle truppe impegnate nella loro sacra missione, di conquistare la piazza.
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E così terminò la battaglia, con i fatimidi, che pur avendo subito una quantità moderata di perdite, avevano raggiunto il loro obbiettivo, conquistando per primi la piazza, mentre i bizantini, con ben 400 morti alle spalle, non erano riusciti a precedere le genti dell’Islam.
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Si presumeva che la disputa fra alleati si concludesse così, ma i bizantini non ci stavano. I loro capitani, con presunzione, e usando la propria superiorità numerica, fecero minacce affinché gli egiziani lasciassero il castello, che era ora parte dei domini dell’Impero di Costantinopoli. Infuriato, il generale al-Fa’iz dovette acconsentire a far sloggiare le proprie truppe dalla piazza, imparando così che le genti dell’antica Bisanzio, non erano degne di fiducia. Tuttavia, il prode condottiero fatimida, pregustava già la vendetta, poiché le armate degli altri popoli musulmani erano in arrivo, e con il loro aiuto, Barqah sarebbe finalmente caduta nelle giuste mani. Così, quando arrivarono le armate siriane e turche, al-Fa’iz si incontrò con i loro generali, il siriano Ibn al-Athir e il turco Suleymish Mumcu, e insieme decisero di mandare un ultimo avvertimento ai bizantini. Questi, che fra l’altro avevano perso in battaglia il capitano Pietro, rifiutarono di lasciare il castello, e dunque, al Fa’iz la assediò per la seconda volta, sciogliendo l’alleanza. Con fervore, i veri credenti fabbricarono scale e un ariete. Poi attaccarono battaglia. Le truppe bizantine rintanate nel castello e guidate da un nuovo capitano di nome Giovanni, non erano molte, ma avevano i rinforzi del capitano Fozio a disposizione. In compenso, i seicento fatimidi che assaltarono le mura, avrebbero ricevuto a momenti i rinforzi di ben duemila uomini, fra siriani e turchi. L’avvicinamento della già decimata armata egiziana fu molto cauto, e il generale al-Fa’iz ordinò di mantenere dei ranghi molto larghi.
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Le scale non tardarono ad essere appoggiate sulle mura, in diversi punti, in modo da non permettere al nemico di concentrare le sue truppe pesanti in un solo punto. I primi reparti a iniziare il combattimento furono i soliti ferocissimi guerrieri tribali.
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I bizantini si erano schierati bene; avevano inoltre avuto l’accortezza di disporre parte delle proprie forze alla base delle mura; queste forze, irruppero improvvisamente dai torrioni, rendendo durissimo il combattimento.
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Nel frattempo, l’armata degli alleati siriani aveva ingaggiato un aspro e mobile combattimento con i rinforzi bizantini del capitano Fozio.Finalmente, l’ariete fatimida divelse le porte del castello, e notando che un solo reparto nemico presidiava l’ingresso, mentre molti altri lottavano sulle mura, il generale al-Fa’iz prese condusse la cavalleria attraverso il portone.
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Sulle mura, però, la situazione permaneva incerta. A destra, gli stoici lancieri pesanti bizantini, davano del filo da torcere ai lancieri saraceni, che erano stati accerchiati.
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Nel frattempo, a sinistra, le mura erano un brulicare delle truppe più svariate che correvano cercando ognuna di prendere alla sprovvista il proprio nemico. Ma la vista improvvisa degli stendardi dei turchi che si avvicinavano alle mura per dare man forte ai loro correligionari, rinnovò il morale egiziano e fiaccò quello bizantino, e finalmente i lancieri pesanti sulla destra ruppero i ranghi, consentendo alle truppe fino a poco prima accerchiate di andare ad aiutare i compagni più bisognosi.
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Con una reazione a catena, gli egiziani finirono di conquistare le mura proprio mentre i primi turchi vi giungevano urlando festosi. La cavalleria fatimida si dedicò all’inseguimento dei nemici che avevano raggiunto le strade.
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Giunse poi in una gigantesca baraonda la cavalleria siriana, portando la notizia che lo scontro con i rinforzi bizantini era terminato, e il capitano Fozio era morto.
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A questo punto i simboli della Jihad presero a sventolare ovunque nel castello, e le ultime bandiere bizantine erano quelle raggruppate nella piazza, che sembravano tremare al vento come dovevano tremare dalla paura gli uomini che le reggevano. Seguendo la cavalleria siriana, il generale al-Fa’iz si scagliò contro gli ultimi nemici, incurante di aspettare la propria fanteria.
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Allah volle che quel gesto non gli costasse la vita, miracolosamente. Alla fine i cavalieri ebbero la meglio sui lancieri bizantini, che, accerchiati e massacrati, non offrirono una gran resistenza.
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Fra quegli ultimi, morì anche il capitano Giovanni. Alla fine della battaglia, gli schieramenti islamici non riportarono serie perdite, mentre gli eserciti bizantini, risultarono completamente annientati.
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Barqah venne occupata dalle truppe egiziane senza ulteriori spargimenti di sangue. La jihad si era conclusa vittoriosamente, e aveva avuto risultati estremamente positivi: il primo e più evidente, era un successo per l’Islam, e in particolare per lo stato egiziano; il secondo, era un nuovo livello di coesione raggiunto dalle fazioni medio-orientali, che erano ora più unite che mai.
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E così nell’anno 547 dall’Egira (1169 d.C.) divenne chiaro a tutti che un Islam unito poteva far tremare il mondo.
Questa era allora la situazione del Sultanato egiziano:
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L’emissario egiziano Fahim ,continuò il suo viaggio, toccando corti inglesi e francesi, e concordando con entrambe le fazioni trattati commerciali. Le recenti vittorie, inoltre, portarono a un favorevole cambiamento di seggi nel Concilio dei Nobili.
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Con queste favorevoli condizioni, e un’economia in crescita sempre più tranquilla, nel 549 (1171 d.C.) il Sultano Talì fece varare la prima flottiglia da guerra egiziana nel porto di Dumyat. Questa flottiglia era necessaria per compiere la recente missione discussa in Concilio, che concerneva la possibilità di un blocco navale al porto bizantino di Tessalonica. Una volta completata la missione, le casse del tesoro furono arricchite da una ricca donazione. Mente questa era la situazione in patria, all’estero c’erano problemi per i siriani. La crociata indetta su Halab, condusse fuori dalle mura della città nutriti eserciti europei. Con audacia e fervore sconfinati, i prodi musulmani dell’Atabeg Jazira, sconfissero un’armata di Milano, una di Gerusalemme e una del regno d’Ungheria, in poco tempo. Queste colossali vittorie, però non bastavano, giacché altri infedeli giungevano dalla Polonia e dalla Danimarca. L’ideale sarebbe stato ricevere aiuto dagli alleati, ma il Sultano Talì, non volle correre un tale rischio, preferendo mettere a repentaglio la sicurezza di un altro popolo, seppur correligionario, piuttosto che quella dell’Egitto, sottoponendolo a una prova affrettata. Quasi che Allah fosse adirato con il Sultano, egli cadde da cavallo mentre girava attorno alle mura di Al Qahira, nell’anno 550 (1172 d.C.) dall’Egira. Il suo successore fu il figlio al-Adid.

TO BE CONTINUED…
Ramon Berenguer IV
00domenica 13 settembre 2009 00:29
Sperando che questa prima parte vi piaccia, non posso fare a meno di dire che alcune idee del comparto grafico le ho avute leggendo gli After Action Reports del forum del TWC, su consiglio di Guido da Suzzara, membro del nostro forum e gestore di un'ottima cronaca sui polacchi. [SM=g27960]
Comunque, i prossimi aggiornamenti, potrebbero essere irregolari e corti, poichè lunedì inizia la scuola, ma ci saranno, senza dubbio.
Ciao [SM=x1140429]
cristiano87.
00domenica 13 settembre 2009 10:10
Noon so davvero che dirti il tuo racconto è davvero da gustare con pop-corn e birra!!!
Complimenti davvero [SM=x1140512] ,bellissima poi la cronaca dell'assedio con la fretta di arrivare prima dei bizantini davvero appassionante,aspetterò volentieri per vedere un'altra cronaca così!!!
Ramon Berenguer IV
00lunedì 14 settembre 2009 22:50
Grazie cristiano! Mi fa molto piacere che ti piaccia. Spero di non farti aspettare troppo... [SM=x1140420] [SM=g27960] [SM=x1140430]
cristiano87.
00lunedì 14 settembre 2009 23:01
Re:
Ramon Berenguer IV, 14/09/2009 22.50:

Grazie cristiano! Mi fa molto piacere che ti piaccia. Spero di non farti aspettare troppo... [SM=x1140420] [SM=g27960] [SM=x1140430]




Di niente Don Ramon [SM=g27960] !!te l'ho detto l'aspettativa può essere anche lunga l'importante è che la cronaca si come quelle che hai fatto finora [SM=g27963] !!
Ramon Berenguer IV
00mercoledì 16 settembre 2009 16:16
Continuano le gesta egiziane! [SM=x1140441]

PARTE SECONDA: “Jihad” (551-562)

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Il nuovo Sultano al-Adid, era un uomo deciso. Ma soprattutto, era un uomo che credeva molto più di suo padre, nella possibilità di unire le genti dell’Islam. I suoi primi gesti da nuovo capo fazione, nel 551 (1173 d.C.), furono infatti la formazione di un’alleanza con i Mori, e lo scambio di permessi di accesso militare con la Siria.
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L’intenzione di al-Adid era di recare aiuto militare all’Atabeg Jazira. Per questo, richiamò il più esperto dei suoi generali, al-Fa’iz, dal lontano castello di Barqah; al suo posto, mandò il giovane al-Mutasim, apprezzato e fedele uomo di governo. La strada per Dumyat, dove attendeva il Sultano, era lunga, e al-Fa’iz riuscì a giungere solo nel 553 (1175 d.C.), anche perché aveva dovuto portare a termine delle faccende, a Barqah. Ora, il Sultano non fu molto cordiale con il generale, poiché egli era per diritto di nascita più Sultano di lui; ciononostante, il nobile al-Fa’iz, per amore di Allah, acconsentì alla richiesta fattagli dal capo fazione di approntare un’armata per attaccare il Regno di Gerusalemme. Nel frattempo, ad Halab, i siriani erano miracolosamente riusciti a respingere altre quattro armate crociate, una danese, una aragonese, una milanese, e una polacca. Al-Fa’iz si mise di buona lena a reclutare truppe da diverse roccaforti egiziane.
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Nel bel mezzo di questi tesi preparativi, giunse in Egitto una spettacolare folata di cambiamento. Nell’anno 554 (1176 d.C.)dall’Egira, infatti, giunse in Egitto il grande generale Salah al-Din; egli era un uomo devotissimo e temuto dai nemici, giacché era il più geniale dei generali che si fossero mai visti in Terrasanta (NB: Purtroppo, l’arrivo di Salah al-Din, non ha effetti più specifici nel gioco, quindi non posso essere più storicamente accurato; non vi meravigliate se inventerò strane cose per giustificare la comparsa di un’immensa armata con un grandioso generale nella mia partita). Salah al-Din, portava con sé un grosso patrimonio personale, che mise a disposizione del sultanato egiziano.
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Con l’arrivo di questo prediletto di Allah, il Sultano decise di avviare una campagna in grande stile; con un indicibile sforzo bellico, prostrando le finanze dello stato egiziano, furono approntati tre grandi armate, comandate rispettivamente dal Sultano al-Adid, dal prode al-Fa’iz, e dal grande Salah al-Din.
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A questo punto, il celebre imam Mahfouz, fu ben felice di aiutare il proprio sovrano indicendo una jihad su Gerusalemme, la città santa a molti popoli. Era il 556.
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Grazie a questa mossa, il sultanato d’Egitto si guadagnò un miglioramento delle relazioni con l’Atabeg Jazira, e un peggioramento delle stesse con il Regno di Gerusalemme, con il quale scoppiò la guerra.
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In piena estate, le armate musulmane si misero in marcia, tenendo ben alta la mezzaluna dell’Islam. Il piano di guerra concordato dai tre generali, era semplice, e fu applicato alla lettera: il Sultano al-Adid, si diresse verso il poderoso castello di Kerak, mettendolo sotto assedio, e precludendo la possibilità di ricevere rinforzi da lì ai Crociati. Salah al-Din e al-Fa’iz, invece, assediarono entrambi Gerusalemme, che era difesa molto bene. Gli egiziani temevano soprattutto la potenza delle truppe pesanti dei franchi, sia cavalleria sia fanteria, poiché erano più forti delle truppe leggere tipiche delle regioni desertiche. Verso la fine dell’estate, giunsero nei pressi di Gerusalemme anche le armate siriane, turche e moresche, rendendo non necessaria la presenza di al-Fa’iz, che si diresse ad assediare il castello di Acri. Sul finire dell’anno, il Sultano lanciò l’assalto a Kerak, combattendo contro la piccola armata del Re infedele in persona, Baldovino III.
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Kerak non era un castello facile da espugnare. Per anni, i commerci fra Siria ed Egitto, erano stati rischiosi a causa della bellicosità che i crociati mostravano per tutti i musulmani che passavano intorno alla loro roccaforte; e purtroppo, quella dell’Outre-Jourdain era la via più breve fra il Cairo e Mosul. Dunque, il Sultano al-Adid era più che deciso a farla finita con quella fortezza.
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Come ormai era diventata strategia consolidata, furono costruite molte scale e un ariete, per assaltare le mura nemiche. Mandando avanti gli arcieri, in modo che la maggior parte del fuoco nemico si concentrasse su di loro, le truppe egiziane si avvicinarono sveltamente al profilo minaccioso del Castello del Corvo.
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Le pesanti truppe crociate attesero in ranghi ben serrati che i musulmani apparissero in cima alle mura.
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Inizialmente lo scontro fu molto duro, e il Sultano disperò che i suoi uomini riuscissero a prendere anche solo le mura, ma poi arrivarono lateralmente ai nemici altri reparti egiziani, e questo costrinse gli infedeli a ritirarsi verso la piazza mentre i guerrieri santi dell’Islam sciamavano sulle mura.
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I crociati arroccatisi in piazza erano molti, e le loro armature incutevano una certa soggezione, così il Sultano ordinò alle truppe di disporsi cautamente intorno al perimetro della piazza, prendendo ognuno una posizione prima di lanciarsi all’attacco.
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Ma accadde un imprevisto che avrebbe dovuto essere previsto. Il Re nemico, con la sua pesante cavalleria, si lanciò in una delle tipiche cariche a testa bassa dei crociati. I fanti egiziani si stavano ancora disponendo, e si trovarono in difficoltà.
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Con improvvisa frenesia, al-Adid ordinò ai soldati di correre in aiuto dei loro compagni, e i primi a giungere furono i naffatun, che provarono a cominciare un timido lancio delle loro letali armi contro i fanti nemici.
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Ben presto, però, questo lancio dovette interrompersi, poiché con l’arrivo dei lancieri d’Egitto, diventava rischioso lanciare il liquido incendiario in mezzo alla mischia. Il combattimento divenne puramente fisico, perdendo ogni sfumatura strategica; era un muro che sbatteva frenetico contro un altro muro. Le armature dei crociati li proteggevano meglio, ma il numero degli egiziani era maggiore.
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Alla fine, sempre meno nemici resistevano, e la loro empia croce stava per essere abbattuta.
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Fino all’ultimo morirono i combattenti crociati, con un coraggio impensabile per delle genti infedeli; al termine dello scontro, molti musulmani in più erano saliti in paradiso al fianco di Allah, e il Sultano non poté fare a meno di non restare impressionato dal fervore dei suoi avversari.
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Kerak era presa, comunque. Mentre Salah al-Din persisteva nell’assediare Gerusalemme, cercando di ottenere che si arrendesse senza spargimenti di sangue, ad Acri al-Fa’iz decise di attaccare. Egli era infatti ansioso di potersi riunire ai suoi vecchi compagni di battaglia, il turco Suleymish Mumcu, e il siriano Ibn al-Athir, che nel frattempo era diventato Principe ereditario dell’Atabeg Jazira. Entrambi i generali, infatti, si trovavano alle porte di Gerusalemme, ad aiutare Salah al-Din.
Acri fu tutta un’altra storia.
Solo nel momento dell’assalto, al-Fa’iz seppe che i crociati nel castello avevano coscritto delle forze supplementari per difendersi; credendo che non fossero altro che contadini male addestrati, il generale egiziano attaccò ugualmente, anche perché aveva a disposizione un buon corpo di cavalleria, sulla quale contava molto.
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Quando le scale furono appoggiate alle mura, queste sembravano semivuote, tanto che al-Fa’zi cominciò a sperare in una vittoria facile. All’improvviso, però, dalle porte dei torrioni, scaturirono fiumane di soldati crociati, che si schierarono rapidamente, senza dare il tempo agli egiziani di stabilire una salda testa di ponte sulle mura. Il combattimento divenne immediatamente durissimo.
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Rapidamente, gli egiziani sulle mura si trovarono accerchiati e combattuti da lancieri pesanti, e non da truppe inesperte. La situazione era disperata.
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Il prode al’Fa’iz, decise di irrompere dal portone appena sfondato dall’ariete, per cercare di scombussolare il morale nemico. Con impeto la cavalleria egiziana si riversò nella breccia.
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Ma al di là del portone c’erano truppe pronte ad accogliere uno dei migliori generali dell’Islam.
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La cavalleria ingaggiò un combattimento tremendo, al quale partecipava anche al-Fa’iz in persona. Sulle mura la battaglia era ormai andata persa, così tutti i soldati crociati discesero a combattere gli ultimi supersiti musulmani, che rimasero bloccati. Eroicamente, ma scioccamente, cadde al-Fa’iz.
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E dopo di lui, caddero tutti gli uomini egiziani che gli infedeli riuscirono a raggiungere con le loro profane armi.
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La sconfitta fu netta e disastrosa, poiché oltre ad aver perso una grossa armata e un abile generale, l’Egitto concedeva ai suoi nemici giurati di mantenere un castello pericoloso, molto pericoloso.
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Eppure, nonostante la sconfitta, l’ardore con cui combattevano gli egiziani, fece sì che i Mori e i Turchi, ne restassero impressionati favorevolmente.
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Mentre l’assedio di Acri falliva miseramente, a Gerusalemme Salah al-Din concordò un piano di attacco con il vecchio Suleymish Mumcu e con il Principe moresco Khaled. Suleymish insistette affinché le sue truppe entrassero per prime, in modo da sdebitarsi del ritardo che avevano impiegato le sue truppe ad arrivare nell’assedio di Barqah. Salah al-Din acconsentì. Seguendo il piano, gli arcieri egiziani si recarono sotto le mura della città santa, bersagliando i nemici che facevano capolino e trasportando un ariete per sfondare le porte.
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Dopo aver aperto il varco per entrare in città, gli arcieri ripiegarono compostamente, tornando al grosso dell’esercito egiziano.
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A questo punto le colonne degli eserciti alleati si avvicinarono alle porte divelte, pronte ad annientare i nemici.
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Il generale Suleymish era in testa alla colonna turca.
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Come un fiume che trabocca si riversa in ogni anfratto, le truppe dell’Islam si precipitarono nelle vie di Gerusalemme, abbattendo con foga i crociati che resistevano alla loro avanzata.
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Poi, la resistenza degli infedeli si andò inasprendo, in corrispondenza della piazza principale, dove si trovavano i carri con le croci sante ai nemici. In questo frangente persero drammaticamente la vita sia il prode amico dell’Egitto, Suleymish Mumcu, sia il Principe ereditario dei Mori, Khaled.
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Essendogli portate queste notizie, Salah al-Din si indignò ed entrò con tutta la cavalleria nella città; prendendo una strada laterale, aggirò lo scontro principale, e arrivò alla piazza da dietro i nemici. Circondati in questo modo, i crociati non poterono che soccombere in un ultimo parossistico sussulto di resistenza.
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Al termine della caotica battaglia, Salah al-Din fece disporre con la massima cura dei corpi dei caduti musulmani, e in particolare dei due grandi generali alleati.
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I cittadini accolsero positivamente il ritorno del dominio musulmano sulla città, poiché già in precedenza, i governatori musulmani della città si erano mostrati tolleranti e saggi. Era il 557 (1179 d.C.) e Gerusalemme era finalmente libera dal dominio parassitico degli infedeli.
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Tuttavia, la situazione andò peggiorando: i siriani provarono a prendere Antiochia, ma furono costretti a retrocedere a causa dell’arrivo delle ennesime armate crociate su Halab, che pure resistette; fuori Acri, venne fatta a pezzi l’armata turca che aveva dato una mano nella conquista di Gerusalemme. Per fortuna, l’Egitto riuscì a consolidare le grandi conquiste ottenute non solo militarmente; infatti, l’economia egiziana, dopo un iniziale collasso, aveva preso a decollare, con la conquista dei nuovi ricchissimi territori. Nel 558, addirittura, l’economia egiziana era la più ricca d’Europa e del Medio Oriente.
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Forte di questo ottimo lancio e del rinnovato appoggio del consiglio, il Sultano concordò a Salah al-Din il permesso di assaltare nuovamente Acri. La roccaforte era già stata privata del generale che aveva sconfitto al-Fa’iz, un certo Simon Amyot, che era deceduto per morte naturale. Inoltre, l’armata siriana del Principe e amico Ibn al-Athir, era nei pressi del castello crociato, e questo costituiva un ottimo vantaggio; dunque, Salah al-Din, attaccò battaglia con un distaccamento nemico al di fuori di Acri. Il condottiero egiziano sperava che ciò attirasse anche il resto delle truppe di guardia al castello, e difatti così fu. E Ibn al-Athir si unì volentieri ai fratelli di fede, essendo uno dei più convinti sostenitori dell’unione dell’Islam.
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Disorientati dalla presenza di ben due eserciti musulmani, i crociati esitarono, e il corpo di quattrocento uomini che era stato attaccato, si schierò alla bell’e meglio per attendere i rinforzi. Celere fu invece la manovra egiziana; Salah al-Din schierò la fanteria in una singola linea, mandandola avanti. La cavalleria, invece, si dispose sulla destra, e avanzò disegnando un arco verso il fianco dello schieramento nemico. Gli arcieri crociati che tiravano impudentemente lontani dalla loro fanteria, vennero travolti da una massiccia carica di cavalleria.
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Eliminati gli arcieri, la cavalleria ripiegò su un’altura. L’armata siriana, nel frattempo, si avvicinò frontalmente, costringendo i crociati a fronteggiarla; ne approfittò Salah al-Din, che si schierò con l’esercito alle spalle del nemico. A questo punto il nemico era sostanzialmente chiuso in una sacca, dalla quale non c’era scampo.
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L’attacco alle spalle non lasciò possibilità di sopravvivenza o di fuga, e il terreno vibrò violentemente sotto gli zoccoli dei purosangue arabici.
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Per la seconda armata crociata, si ripeté più o meno la stessa situazione; anche questi, infatti, rimasero bloccati in una sacca, ma furono più furbi, e mandarono parte delle truppe contro i siriani mente il resto restava di guardia agli egiziani sul retro.
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Tuttavia, la mobilità dei cavalieri di Salah al-Din, disorientò i nemici, che cercando di tenere d’occhio sia la cavalleria che la fanteria, finirono travolti miseramente, e schiacciati.
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La vittoria era totale, e il castello di Acri restò sguarnito.
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Salah al-Din, si affrettò a occupare anche questa roccaforte. La conquista egiziana proseguiva spedita. Nei giorni seguenti alla presa di Acri, a lungo dialogarono Salah al-Din e Ibn al-Athir; stabilirono che linea di condotta seguire nei passi finali dello sradicamento del dominio crociato. Gli egiziani dovevano ora conquistare Tripoli, città costiera e passaporto per il Libano. Nel frattempo, i siriani si sarebbero dati da fare con Antiochia. La situazione non era comunque semplice, giacché i crociati mantenevano ben tre grosse e pesanti armate nelle loro regioni settentrionali. Prima che potessero partire le nuove offensive, nel 559 (1181 d.C.) giunsero ad Acri ambasciatori dell’ex regno di Gerusalemme. Essi chiedevano la tregua. Salah al-Din, propose che fosse siglata la pace se i crociati consegnavano Tripoli. Ovviamente, si concluse con un nulla di fatto. Sul finire dell’anno, in contemporanea, Salah al-Din assediò e prese con facilità la poco difesa Tripoli, mente a nord i siriani conquistavano dopo intensi scontri Antiochia. Ai crociati rimaneva solo la cittadella di Homs, sottratta anni prima ai siriani, e Adana, che con l’inizio del nuovo anno fu già espugnata dai Turchi. Questi grandiosi avvenimenti avvenivano ben lontani dal vecchio castello di Dumyat, dove risiedeva il Principe ereditario Sabry, un autentico inetto. Su ordine del Sultano al-Adid, fu intessuta una letale rete per quella fastidiosa mosca. Una flottiglia egiziana salpò le ancore dal castello con Sabry a bordo, che ufficialmente sapeva di doversi recare ad Acri, per unirsi a Salah al-Din. Invece, la nave che lo trasportava, puntò al largo delle coste di Cipro, e lì, l’equipaggio dell’imbarcazione legò una sasso ai piedi dello scomodo Principe, sprofondandolo poi negli abissi marini. Sbarazzatosi in questo strano modo del suo inetto successore, il Sultano nominò nuovo erede il fedele al-Mutasim, che ormai da un decennio governava Barqah.
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Anche se la guerra era vicina ad un lieto fine, accadde un grosso imprevisto. Il Sultano Osman dell’Atabeg Jazira, stipulò senza curarsi di avvertire i suoi alleati, un patto di sottomissione con i crociati; in pratica, gli ultimi possedimenti crociati divenivano protettorato di Siria.
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La cosa in sé poteva anche essere accettata, anche se si venne a sapere che Medina faceva ora parte dei possedimenti crociati, e ciò era a dir poco intollerabile per l’Islam. Eppure, la situazione era destinata a peggiorare. A ogni modo, il Concilio dei nobili egiziani, sempre più soddisfatto dell’operato del Sultano, richiese che si entrasse in trattative con il Pontefice di Roma. Questa doveva essere una mossa strategica per avvicinare due mondi completamente diversi in modo pacifico.
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Fu scelto per recarsi a Roma l’anziano Fahim, che aveva ultimamente dimorato a Venezia, ospite del Doge, con cui aveva fatto amicizia. Fahim raggiunse Roma nell’anno dell’Egira 562 (1184 d.C.). Fu accolto in modo curioso; infatti, la sua amicizia con il Doge, lo rendeva un personaggio quantomeno affascinante, anche se faceva le veci della fazione probabilmente più odiata dal Papa. La grande abilità diplomatica dell’emissario, fece sì che l’incontro si risolvesse in modo piuttosto positivo, e la stessa corte di Roma avanzò un’offerta diplomatica che prevedeva lo scambio di diritti commerciali, a condizione che venissero recapitate a Roma mappe dettagliate sulla attuale situazione della Terrasanta.
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In questo modo si risolse l’incontro probabilmente più importante della vita di Fahim il diplomatico.
L’Egitto era ora una fazione dalla potenza giovane e flessibile, non certamente limitata al campo militare. Ovviamente, però, le prove non erano finite.
Il sultanato egiziano nell’anno 562 dall’Egira:
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TO BE CONTINUED…

Spero che sia stato all'altezza delle aspettative di cristiano87 e di chi sta seguendo la cronaca. [SM=g27963] [SM=x1140429]
Knight Of Jerusalem
00mercoledì 16 settembre 2009 20:41
Bellissima! Fatta veramente bene! [SM=x1140522]
cristiano87.
00mercoledì 16 settembre 2009 22:16
Un'altra cronaca avvincente Don Ramom!! [SM=x1140512]
Davvero complimenti oltretutto stai dimostrando di saper giocare bene anche a VH/VH!!
Ramon Berenguer IV
00giovedì 17 settembre 2009 17:36
Grazie [SM=g27964]
Trovo il gioco a difficoltà VH/VH molto più realistico, sia per le difficoltà più consistenti che si presentano nella campagna (economia, guerra, relazioni diplomatiche...), sia per la maggiore IA in battaglia (nemici che ti colgono di sorpresa, che fanno mosse studiate per mettere in difficoltà il giocatore...). Veramente molto soddisfacente. [SM=x1140441]
Vabbè, ora mi concentrerò sulla non facile situazione diplomatica con la Siria (eheh, aspettare per vedere). [SM=x1140429]
Ramon Berenguer IV
00domenica 20 settembre 2009 18:34
PARTE TERZA: “IL SOGNO DI UNA GRANDE ALLEANZA” (564-579)

Nella complessa situazione diplomatica venutasi a creare con la Siria, pareva crollare la possibilità di raggiungere un accordo per l’unità delle fazioni islamiche. A questo sogno, venne dato un altro brutto colpo dall’improvviso attacco che i siriani effettuarono sul castello turco di Adana. Questa aggressione provocò lo scioglimento della grande coalizione islamica venutasi a creare in precedenza. Infatti, anche gli egiziani dovettero scegliere chi appoggiare, e il Sultano al-Adid scelse di mantenersi al fianco della Siria,non già perché fosse una giusta causa, ma perché rappresentava un pericolo maggiore.
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In questo clima teso, divenne uomo il buon al-Zafir Ali, figlio di Reis Ali, e dunque di discendenza reale, ammiratore delle imprese di Salah al-Din e delle sue idee di rispetto e pace.
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A costui, sebbene non brillasse certo per doti particolari, fu affidata la missione di sottrarre la sacra Medina alle sudice mani crociate. L’imam al Arabb Hossman predicò appunto la liberazione della città attraverso una jihad, e gli stendardi della mezzaluna furono branditi dall’armata affidata ad al-Zafir Ali.
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Questo gesto di guerra aperta verso i crociati, causò il funesto scioglimento della lunga alleanza con i siriani.
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Addirittura, poco tempo dopo la partenza di Ali da Kerak, giunsero rapporti delle spie egiziane, che informavano che l’amico siriano Ibn al-Athir, che era il Principe ereditario, si era opposto alla condotta del Sultano Osman, ed era pertanto stato ucciso da un vile assassino. Questa notizia arrecò una grande tristezza nell’animo di Salah al-Din e di tutti gli egiziani che avevano conosciuto il prode condottiero della Siria. I rapporti con il Sultano Osman di Aleppo e Mosul, si deteriorarono; finché fosse stato lui a guidare la Siria, ci sarebbero state ben poche possibilità di avere un fronte islamico unito.
Alla fine del 564 (1186 d.C.), al-Zafir Ali giunse a Medina, e nottetempo la attaccò con le catapulte. Nel freddo del deserto notturno, il caldo fuoco dei proiettili incendiari si abbatté sulla palizzata che proteggeva i crociati.
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L’esercito egiziano attendeva mirando la luna, che spiccava sul cielo nero al di sopra della città, quasi come un favorevole presagio di conquista.
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Con pazienza, le catapulte tirarono più volte sulle mura, finché non aprirono due varchi: il portone, e una breccia nella palizzata. Poi, gli operatori delle catapulte mirarono ai vari reparti dislocati lungo il periodo difensivo, e li costrinsero a ripararsi fuori tiro. Allora, il generale Ali mandò la cavalleria mercenaria che aveva reclutato nei villaggi dei beduini verso la breccia, per assicurarsi che non si nascondessero nemici nelle ombre.
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Assicuratisi che i crociati avevano codardamente ripiegato nella piazza, i cavalieri fecero segnali al resto dell’esercito, che prese ad avanzare come una macchia di fiaccole.
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Nell’attesa che il corpo principale arrivasse, i fanti beduini bloccarono la strada che conduceva alla piazza, tenendo sott’occhio le torce nemiche in lontananza.
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D’un tratto, i fanti nemici decisero di attaccare, e si scagliarono nella strada occupata. Il combattimento fu duro, ma nella confusione, perse la vita il generale nemico, cosicché i suoi uomini, pur vicini a riottenere il controllo della strada, preferirono ripiegare nuovamente in piazza.
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A questo punto, al-Zafir Ali decise di porre fine alla resistenza nemica con la cavalleria; comandò ai mercenari beduini di attaccare frontalmente, e con i suoi cavalleggeri, aggirò il nemico passando per strade secondarie, e giungendo finalmente alle spalle dei crociati. L’ultimo combattimento in piazza si risolse velocemente.
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Dopo la rapida e praticamente indolore vittoria, i soldati egiziani presero ad acclamare il proprio generale, appellandolo come al-Zafir il Guerriero Santo. E tale era davvero, se in meno di un anno era riuscito a compiere la Jihad, sottraendo l’ennesimo territorio rubato agli infedeli.
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Dopo la conquista, non mancarono i tentativi di colloquio con il Sultano dell’Atabeg Jazira, ma questi si rifiutò categoricamente anche solo di parlare con gli emissari egiziani.
Fortunatamente, la condotta pura e fedele ai precetti del Corano degli egiziani, attirò una nuova richiesta di alleanza da parte dei Turchi. Ovviamente, fu subito accettata, e parte della coalizione originaria si riformò. Intanto, il Sultano al-Adid, volgeva lo sguardo a ovest, oltre la provincia di Barqah. Fra i possedimenti egiziani e quelli siciliani, infatti, si stendeva una provincia governata da un emiro ribelle, che offriva un allettante obbiettivo per le mire espansionistiche del Sultano. Fu dunque convocato a Gerusalemme il giovane Ali, e gli fu detto di imbarcarsi e salpare con un esercito verso la cittadina ribelle di Surt. Mentre veniva preparato l’esercito, il potenziamento della rete commerciale del sultanato consentì di allestire una grande fiera, la cui gestione fu delegata all’esperto mercante al-Kamil di Kharga.
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Questa iniziativa portò ulteriore prestigio al capo fazione egiziano e al suo stato.
Nel 567 (1189 d.C.), al-Zafir Ali salpò dal porto di Acri conducendo con sé un potente esercito, nel quale si trovavano anche delle catapulte; per quegli strumenti, infatti, il generale aveva sviluppato una particolare predilezione. Poco tempo dopo la partenza di Ali, morì il Sultano.
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Fu chiamato a gestire la difficile situazione il Principe al-Mutasim. Ma egli, confinato nella lontana Barqah, era diventato piuttosto insensibile alle faccende dello stato, pur conservando la sua abilità di governatore; pertanto, preferì affidare la quasi totale gestione degli affari del sultanato, al nuovo Principe ereditario Salah al-Din. A egli ora toccava gestire la complessa situazione diplomatica con la Siria, tenere sotto controllo i movimenti crociati intorno alla loro ultima fortezza a Homs, e colmare il buco economico lasciato dalla fine dei commerci con l’Atabeg Jazira.
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Per quanto riguardava quest’ultimo problema, Salah al-Din fece sguinzagliare numerosi mercanti in giro per il sultanato, capitanati essenzialmente dall’esperto al-Kamil, che nel 570 (1192 d.C.), riuscì a compiere un enorme acquisizione commerciale, soppiantando il mercante siriano Ali di Yazd nel lucroso commercio d’armi nei pressi di Damasco.
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Da quel momento, i mercanti egiziani e siriani si combatterono aspramente per il dominio commerciale di molte risorse, e più volte queste schermaglie finanziarie si tramutarono in veri e propri omicidi strategici.
Invece, per tenere d’occhio la situazione attorno a Homs, Salah al-Din fece disporre una rete di spie intorno alla roccaforte, in modo da conoscere l’esatta entità degli spostamenti di truppe nemiche.
Nell’anno 571 dall’Egira (1193 d.C.), al-Zafir Ali attaccò Surt con le sue amate catapulte. La cittadina era difesa da un gran numero di truppe comandate da un certo capitano Ayub.
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Il bombardamento delle catapulte si concentrò prima sul portone e poi sulle mura, seguendo una strategia precisa, che creava in tal modo due varchi da cui entrare per cogliere il nemico su più fronti.
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Una volta prodotte le vie d’ingresso, Ali ordinò a un reparto di cavalieri beduini, di entrare d’impeto dal portone, superare le linee dei difensori e correre verso l’interno dell’abitato, creando così un diversivo che distogliesse l’attenzione dei nemici dalle mura.
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Purtroppo, però, i cavalieri furono affrontati da un altro reparto ribelle proveniente dalla piazza, e i difensori delle mura restarono ai loro posti dopo aver accennato a un inseguimento.
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A questo punto, gli egiziani avevano già iniziato a varcare il portone, per cui una ritirata sarebbe stata improponibile. Piuttosto, diversi reparti deviarono verso la breccia nelle mura, in modo da cogliere di fianco la resistenza nemica. Avvedutisi di ciò, i ribelli provarono a tenere fuori gli invasori effettuando una sortita dalla breccia, ma l’operazione fallì, consentendo agli egiziani di precipitarsi all’interno dell’insediamento.
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Altre truppe nemiche, però sostavano ai lati della breccia, così i prodi uomini di Ali si trovarono a dover sconfiggere una resistenza imprevista.
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Nel frattempo, coloro che avevano fatto irruzione dal portone, combattevano fianco a fianco, in un largo semicerchio, cercando di sfondare lo schieramento nemico.
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Finalmente, però, il fianco nemico cadde, e l’attacco su due fronti prospettato da Ali, poté avere luogo, costringendo i nemici a cedere terreno.
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Quando poi il capitano ribelle Ayub cadde in ginocchio, trafitto da numeroso lance e scimitarre, il morale dei nemici crollò, ed essi si arresero.
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Misericordioso come il suo modello Salah al-Din, al-Zafir Ali entrò nell’insediamento risparmiando tutti coloro che non gli si opposero.
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Con l’aggiunta di Surt ai possedimenti del Sultanato, questa era la situazione territoriale dell’Egitto nell’anno 571 dall’Egira:
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Nel frattempo, lungo il Nilo, prese a girare voce di un eremita che a lungo aveva vissuto in solitudine, ma che ora era disceso dai monti per predicare il suo eretico credo. E accadde che nella città di Aswan scoppiassero addirittura rivolte, causate da quei deboli che avevano ceduto alla conversione del predicatore. Diversi imam si recarono sul posto per denunciare l’eresia dell’eremita, che si scoprì essere noto come Samy Sulayman. Egli riuscì a scampare a ben due processi, poi si spostò verso nord, intenzionato a recarsi ad Al Qahira, per diffondere lì le sue convinzioni.
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Fortunatamente, però, fu fermato dall’imam del castello di Asyut, che lo fece nuovamente processare, e alla fine condannare, ponendo fine a quella squallida rivolta religiosa.
Giunse il 573 (1195 d.C.), e con esso un grosso colpo di scena. A causa delle recenti e massicce invasioni effettuate dai siriani in Anatolia, i Turchi, avevano rinunciato alla propria sovranità, ed erano diventati un protettorato dell’Atabeg Jazira. L’empietà del Sultano Osman giungeva dunque a voler piegare alla sua volontà un altro popolo islamico?
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Tuttavia, Salah al-Din decise di non agire in modo aggressivo. Infatti, gettarsi a capofitto in una guerra fratricida non rientrava nei suoi progetti. Fra l’altro, c’era ben altro a cui pensare: una gigantesca armata portoghese, era stata avvistata nel deserto, tempo prima; essa aveva oltrepassato Surt, Barqah e Siwa, e ora transitava nella zona del delta del Nilo; l’obbiettivo di questa armata era ignoto, e fu con grande timore che gli egiziani osservarono dalle mura delle loro città la sfilata di questi sconosciuti. Un’armata bizantina, invece, era sbarcata ambiguamente nei pressi di Barqah, e stazionava lì. Comunque, in questo periodo tornò dall’Italia lo storico emissario Fahim, che durante l’attraversamento del Wahat Siwa fu raggiunto dalla chiamata di Allah e morì. Il suo cadavere fu affidato alle polveri del deserto di cui era natio, come aveva sempre voluto. All’inizio del 574 (1196 d.C.), giunse a Gerusalemme un diplomatico ungherese, a proporre un’alleanza. Con piacere, Salah al-Din accettò. Era evidente che la potenza egiziana cominciava a incutere rispetto un po’ ovunque. A ogni modo, questo rispetto andava confermato, e se ne presentò l’occasione. Un imam siriano, indisse nel 575 (1197 d.C.) una Jihad su Costantinopoli. Ovviamente, Siria e Turchia si affrettarono a parteciparvi.
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Contrariamente a ciò che ci si aspettava, anche gli egiziani issarono gli stendardi della mezzaluna, e Salah al-Din in persona salpò da Tripoli con un esercito di tutto rispetto. Quello che fece, gli portò poi immensa fama. In meno di un anno, le truppe di Salah al-Din, presero diversi territori importanti sulla rotta per Costantinopoli: prima cadde Cipro, poi Creta, poi il Peloponneso.
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Poi, la flotta egiziana fu costretta a fuggire, inseguita da imbarcazioni bizantine; tuttavia, la fuga non si risolse in una sconfitta totale: Salah al-Din sbarcò nel pieno del territorio greco, conquistando il castello di Nafpaktos.
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Questa gigantesca impresa di conquista, fruttò una generale ammirazione da parte delle fazioni nemiche di Costantinopoli.
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Inoltre, grazie alle recenti conquiste, l’estensione territoriale del sultanato d’Egitto, divenne la più grande d’Europa e Medio Oriente.
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Dopo di ciò, Salah al-Din si fermò a Nafpaktos, per gestire i nuovi possedimenti, abbandonando la Jihad. Fra l’altro, una delle immediate conseguenze delle conquiste del 575, fu l’improvviso aumento dei costi di mantenimento degli insediamenti, che in un primo momento sobbarcarono l’economia egiziana, ma che poi andarono invece a favorirla. Di fronte a questi successi del mondo islamico, nonché all’evidente impossibilità di conquistare Halab, il Pontefice cristiano dichiarò fallita la falsa Jihad.
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Questi successi, e il sentirsi uniti nella Jihad su Costantinopoli, portarono una certa eccitazione nel mondo islamico, cosicché i tre sovrani si accordarono affinché avvenisse un incontro diplomatico ad Adana. Gli egiziani vi mandarono il loro esperto emissario al Mustafi Zakariyya. Era un’occasione unica per ripristinare la coalizione islamica, che tanto timore aveva gettato negli animi degli infedeli. E grazie a un capolavoro di diplomazia, la coalizione rinacque. I siriani accettarono di allearsi nuovamente con gli egiziani, e di combattere insieme contro l’ultima potente roccaforte crociata in Terrasanta. Era quello l’ultimo ostacolo per un Medio Oriente pacifico, e tutti erano ben decisi a distruggerlo.

TO BE CONTINUED…


Tremate, Crociati... [SM=g1546275] [SM=x1140442]
Ramon Berenguer IV
00venerdì 25 settembre 2009 16:06
PARTE QUARTA: “LA LIBERAZIONE DELLA TERRASANTA”

Dopo il ristabilimento dell’alleanza islamica, gli sforzi del sultanato d’Egitto si tesero tutti verso l’annientamento di ciò che restava del bellicoso regno crociato. Il Concilio dei nobili, chiese che fosse inviato un assassino a uccidere il nobile franco Baliano le Sueur, che continuava a depredare le carovane egiziane dirette verso la Siria.
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L’assassino fu addestrato, ma non riuscì ad uccidere il suo obbiettivo, e nel corso di una rocambolesca fuga, andò a infilarsi in un vicolo cieco dove le guardie lo massacrarono.
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Intanto, i crociati avevano assoldato flotte di pirati per bloccare i traffici egiziani dai porti della Palestina. Per ovviare all’inconveniente, fu inviato l’ammiraglio al Hafiz, che in pochi mesi riuscì ad annientare le tre flotte nemiche.
Prima di potersi dedicare completamente al castello di Homs, gli egiziani dovevano terminare la conquista della Grecia. Per farlo, Salah al-Din fece venire via nave il prode Ali da Surt, che fu onorato di essere chiamato dal suo idolo in persona. Gli fu affidato l’incarico di prendere Atene, ultima città bizantina nella penisola greca. Ali non si fece pregare, e forte delle sue accresciute abilità, attaccò rapidamente Atene, la conquistò, e la occupò senza torcere un capello agli abitanti.
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A 35 anni, al-Zafir Ali era diventato il secondo miglior generale d’Egitto. Salah al-Din fu affascinato da questo giovane valoroso e devoto, e ne fece il suo più fidato amico.
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Nel frattempo, nella lontana città di Roma, il capo dei cristiani, temeva i musulmani, e preferiva combattere guerre fratricide in Europa, piuttosto che tornare a essere sconfitto in Medio Oriente. Infatti, fu indetta una crociata verso la città di Tolosa, in mano al regno dei Franchi.
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Nell’anno 583 dall’Egira, gli egiziani intrapresero quella che speravano fosse l’ultima battaglia con i crociati. Alle porte di Homs, due potenti armate, guidate dai nobili Abi e Dirgham Nader, attaccarono battaglia con tutte le forze infedeli rimaste in Medio Oriente. A conti fatti, scesero sul campo di battaglia più di quattromila uomini, fra amici e nemici.
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Il generale Abi, prudente perché consapevole dell’immensa importanza della battaglia, si schierò sul crinale di un’altura, per attendere i rinforzi e difendersi più facilmente dalle pesanti truppe crociate. Mentre il suo amico Dirgham aveva nel suo esercito reparti meglio equipaggiati, infatti, gli uomini di Abi erano perlopiù armati alla leggera.
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Le truppe crociate del Principe Philippe, si avvicinarono minacciose, a passo svelto, sollevando nella vallata un terribile frastuono.
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I tiratori crociati si disposero davanti al resto dello schieramento, iniziando a tirare sui musulmani. Gli arcieri musulmani erano di più, però, e si trovavano in posizione migliore, quindi tennero in scacco le forze nemiche. A questo punto, Abi divise la cavalleria in due gruppi, e avviò un aggiramento delle forze nemiche su due fronti. La cavalleria guidata dal suo attendente, si diresse nella direzione dalla quale stavano giungendo le truppe di Dirgham, rendendo irrequieti i nemici, fino a poco prima così sicuri.
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Abi con il resto dei cavalieri, invece, si schierò su un colle scosceso alle spalle dei crociati; il suo piano era di colpire il generale nemico in un momento di confusione dello schieramento avversario.
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La prima carica fu guidata dall’attendente di Abi, che tentò, ripiegando, di tirarsi dietro i nemici, ma senza esito.
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Intanto, gli arcieri nemici erano stati letteralmente decimati.
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Mentre Abi aspettava un’occasione propizia e i rinforzi si avvicinavano, da dietro il colle sul quale si era appostato il generale egiziano, comparvero gli stendardi dell’armata del maledetto Baliano le Sueur.
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Spinto dalla fretta, Abi tentò allora una impudente carica su due fronti, ma fu costretto a ripiegare per non soccombere; il Principe Philippe era ancora vivo.
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Poi, però lo scontro si animò all’improvviso. I rinforzi egiziani, guidati da Dirgham, si lanciarono alla carica spuntando da uno uadi, e le truppe crociate furono impegnate duramente; in quel frangente, il Principe nemico rimase solo, e fu rapidamente circondato da tutte le truppe egiziane disponibili.
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Alla fine, il generale della prima armata nemica, fu disarcionato e immobilizzato dalle truppe musulmane.
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Nel frattempo, anche la seconda armata crociata era stata volta in fuga, grazie alle provvidenziali cariche di alleggerimento dell’attendente di Abi.
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Lo scontro sembrava volgere al meglio. Il profumo della vittoria si mescolava al puzzo del sangue e del sudore, quando, proprio mentre anche l’armata del Re Odo giungeva, anche Baliano le Sueur cadde.
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A questo punto, impossibilitato a scappare per non offrire le spalle alla veloce cavalleria egiziana, Re Odo dispose le sue truppe alla base del colle sul quale si era rischiarata la fanteria di Abi.
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Fu allora, che preso da impeto eccessivo, dimentico di ogni precauzione, il generale Dirgham si slanciò contro i pesanti e pur sempre letali reparti crociati, trovando la morte.
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A quanto pareva, però, il Re nemico non voleva sentirsi da meno di un qualsiasi generale musulmano, perché con enorme stoltezza caricò proprio nel mezzo dello schieramento di Abi, venendo circondato.
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Non ci volle molto a che anche il comandante supremo dei crociati, cadesse nelle mani degli egiziani. Gli ultimi drappelli nemici mantennero a stento la posizione, ben sapendo che voltare le spalle a quel punto, equivaleva a conficcarsi una spada nel petto.
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Quando la cavalleria dei due eserciti musulmani si scagliò in un sol momento contro la tremante muraglia di scudi nemici, anche l’ultima resistenza svanì.
Quel giorno, cadde l’ultima forza d’invasione cristiana in Medio Oriente.
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La vittoria era completamente egiziana.
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I prigionieri catturati quel giorno, erano numerosissimi, e la loro sorte fu varia. I tre condottieri franchi, tutti arroganti e miscredenti, furono giustiziati, insieme alle loro truppe più fanatiche. Gli altri, quelli che pregarono in ginocchio per avere salva la vita, furono messi a fare i servi, e a riparare con le loro mani ai torti che i franchi avevano compiuto nella provincia di Homs.
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Finalmente, il Regno di Gerusalemme era caduto completamente!
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Ora restava da sbrigare solo una piccola questione, affinché la pace in Medio Oriente fosse completa e duratura. Andavano rinsaldati i rapporti con i siriani. E quale modo migliore che restituire loro la roccaforte che tempo fa gli era stata sottratta dagli infedeli? Oltre a ciò fu anche proposto il ripristino dei vecchi patti di accesso militare e di scambio di mappe.
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E con gran sollievo del Sultano al-Mutasim, nella lontana Barqah, di Salah al-Din e di al-Zafir Ali in Grecia, e degli egiziani, musulmani, e abitanti della Terrasanta tutta, i siriani accettarono di buon grado, dando il via ad una lunga epoca di pace e prosperità per il regno di Allah.

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FINE DELLA CRONACA
Ramon Berenguer IV
00venerdì 25 settembre 2009 16:26
Anche questa cronaca è finita; purtroppo non sono andato molto avanti. Il fatto è che, da una parte, gli egiziani non mi hanno preso come speravo, dall'altra, voglio nella prossima cronaca creare un comparto grafico di grande personalità, oltre a migliorare la narrazione, prendendomi più tempo per scrivere i resoconti. Ovviamente, questo mio processo di miglioramento non sarebbe possibile senza critiche costruttive da parte di chi ha letto le avventure degli egiziani; pertanto, vi invito caldamente a fare i vostri commenti, e a darmi consigli sia per evolvermi, sia per creare nuove peculiarità nei miei AAR [SM=x1140431] . [SM=x1140430]
Guido da Suzzara
00venerdì 25 settembre 2009 20:48
Finalmente mi sono preso tutto il tempo necessario a gustarmi questo splendido lavoro...
E' immenso Ramon, completissimo, appassionato e ... AVVINCENTE! (cosa più unica che rara per un AAR...).

Ma come fai a dire che i Fatimidi non ti hanno preso abbastanza? Non li ho mai giocati ma solo leggendo i tuoi racconti sembrano divertentissimi!

Non so, io posso solo elogiarti: sostanzialmente ero stanco di leggere cronache tutte incentrate sulle battaglie e che riservavano pochissimo spazio agli altri aspetti della Campagna.
Questa...ripeto...è di sicuro la più completa dell'Angolo del Bardo.

Per quanto riguarda il comparto grafico... mi son piaciute molto le mappe personalizzate (quelle dove tracci i confini dei tuoi possedimenti)... e boh, magari una possibile strada da seguire è quella di "sganciarsi" dal gioco e inserire immagini provenienti anche da altre fonti (che so... per rievocare luoghi, personaggi)... Ovviamente senza esagerare!

Comunque aspetto con curiosità di vedere dove ti porterà la prossima cronaca...Cos'è, sei alla ricerca dell'AAR PERFETTO? Vabbeh ciao e... alla prossima!
cristiano87.
00venerdì 25 settembre 2009 21:07
Non posso che quotare quello che ha detto Guido dalla tua cronaca non mi sembrava proprio che i fatimidi non ti avessero preso vista la passione e la creatività che hai messo nel tuo AAr!!

Oltretutto i tuo AAr è davvero di difficle miglioramento e non sto esagerando se lo vuoi fare ancora più completo di adesso ti consiglio di prendere la fazione che ti piace di più è che senti di più così il racconto sarà ancora più avvincente!!
Detto questo aspetterò con trepidazione il tuo prossimo racconto!

Jean de Avallon
00sabato 26 settembre 2009 12:08
Veramente gloriosa, moltom paritcolareggiata !!!!!!!!!!!!!
In questi anni non sono mai riuscito a farmi appassionare a popoli fuori continente, forse anche per le mie scarse conoscenze, finito coi magiari sceglieroò una fazione out europe.


[SM=x1140522]
Ramon Berenguer IV
00domenica 27 settembre 2009 21:47
Non so che dire... Grazie, davvero, a tutti voi! [SM=x1140441] [SM=x1140430] [SM=x1140430] [SM=x1140430] [SM=x1140430]
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