CONTRO IL TERRORISMO: COLLOQUIO CON ARMANDO SPATARO

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INES TABUSSO
00martedì 29 agosto 2006 19:28



L'ESPRESSO
Numero 34 Anno 2006

SFIDA AL TERRORISMO
I pentiti di Maometto
Task force di investigatori e magistrati. Sconti di pena a chi collabora. Contro Al Qaeda servono le stesse armi usate per le Br. Parola di procuratore

colloquio con Armando Spataro
di Leo Sisti

Task force di investigatori e magistrati. Sconti di pena a chi collabora. Contro Al Qaeda servono le stesse armi usate per le Br. Parola di procuratore
colloquio con Armando Spataro
Per combattere il terrorismo bisogna "far leva su strumenti già collaudati in passato in Italia, ad esempio, nella lotta alle Brigate rosse e ad altre formazioni estremistiche. Quindi, sì alle task force specializzate di pubblici ministeri e polizia giudiziaria, al coordinamento internazionale e al ricorso a collaboratori processuali". Parla Armando Spataro, procuratore aggiunto di Milano, coordinatore delle indagini sul terrorismo di matrice islamica e, in questa veste, titolare dell'inchiesta sul sequestro dell'imam egiziano Abu Omar da parte della Cia. In questa intervista con 'L'espresso' commenta i temi caldi del momento, indicando mezzi e provvedimenti da adottare per sconfiggere la piaga del secolo. Dopo l'ultimo, fallito attentato di Londra, è aumentato il livello di allarme nel sistema dei trasporti mondiali. Aeroporti sconvolti. Controlli su componenti chimici liquidi portati a bordo di almeno dieci aerei da far esplodere nei cieli inglesi. Bagagli a mano dei viaggiatori sempre più soggetti a restrizioni. Nervosismi e schizofrenie. Sorge allora una domanda: la lotta al terrorismo dovrebbe impiegare metodi più incisivi se si vogliono evitare tragici eventi, dopo quelli dell'11 settembre 2001 di New York, dell'11 aprile 2004 di Madrid e del 7 luglio 2005, ancora, di Londra? Per Spataro pentiti e collaboratori sono necessari. E suggerisce idee per la riforma dei servizi segreti, senza però che si possa sconfinare in certe 'zone grigie' delle regole, formulate da alcuni intellettuali come Angelo Panebianco. Il quale, sul 'Corriere della Sera' del 13 agosto, lancia la proposta di consentire strappi o deroghe allo Stato di diritto, auspicando, in presenza di ragioni eccezionali, di praticare 'una modica quantità di tortura' per estorcere confessioni di terroristi o presunti tali.

C'è in giro grande preoccupazione. Tra qualche settimana è il quinto anniversario dell'11 settembre. Forse è il caso di sperimentare nuovi sistemi di investigazione. Ad esempio, si può puntare su talpe che si insinuino nelle file di Al Qaeda, o comunque dei gruppi più oltranzisti?

"La legge varata proprio nell'ottobre del 2001, subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle di New York, prevede che organismi di polizia specializzati possano svolgere operazioni sotto copertura e avvalersi di eventuali ausiliari, cioè propri collaboratori. Questi ultimi dunque possono essere di estrazione islamica e muoversi all'interno dell'area di appartenenza dei sospetti fiancheggiatori di quel terrorismo. Possono così captare notizie utili non solo per informare sull'organizzazione di possibili attentati, ma anche sulla composizione dei vari gruppi radicali".

È già avvenuto?

"No comment".

Gira una voce, che al centro culturale islamico di viale Jenner a Milano uomini della Cia, insieme alla polizia italiana, abbiano piazzato cavi elettrici sottilissimi in una copia del Corano, per registrare lì conversazioni...

"Escludo che possa aver agito personale appartenente a organi diversi dalla nostra polizia giudiziaria. L'uso di apparecchiature tecniche particolari, se avvenuto, sarebbe normale, come in qualsiasi caso di intercettazione ambientale autorizzata".

Quali sono i limiti di un infiltrato?

"La legge del 2001 contempla la non punibilità di condotte tipo l'utilizzo di documenti falsi e altro. Ma nessuno, nemmeno il semplice confidente, può diventare un agente provocatore, favorendo la consumazione di reati".

Negli Stati Uniti gli agenti della Cia o dell'Fbi possono farlo.

"Da noi è vietato".

Se scoperta, questa nuova specie di quinta colonna paga con la vita.

"Il rischio di una ritorsione è da mettere nel conto, ma si può prevenire".

Lei crede veramente che i musulmani possano o vogliano lavorare da infiltrati tradendo così i loro simili?

"Io non mi occupo di confidenti. Ma penso che, nonostante certe forti motivazioni, la strada da battere sia quella dei collaboratori processuali".

I pentiti, insomma. Nello scorso numero 'L'espresso' ha intervistato Brian Jenkins, un esperto statunitense di terrorismo, che ha ricordato la positiva esperienza dell'Italia, uscita dagli anni del piombo brigatista grazie a leggi speciali su dissociazione e pentimento, sempre nel rispetto delle regole democratiche. Per lui un modello vincente.

"A Milano questo modello è già stato inaugurato, anche se poco conosciuto. Abbiamo avuto due casi di collaboratori islamici che con le loro dichiarazioni hanno contribuito a far condannare alcuni militanti in processi già celebrati. Basta la normativa esistente, già applicata a mafiosi e terroristi politici tout court. Consiste in sconti e benefici penitenziari. E concede a chi collabora di entrare a far parte di un programma di protezione, con i suoi 'accessori': nuova identità, sostegno economico, possibilità di trasferire anche i familiari in una località segreta".

È sempre difficile pensare che un musulmano arrivi a denunciare uno della sua stessa religione.

"Lo si diceva anche per le Br. Ma quando si prospettano riduzioni di pena e possibilità di reinserimento, i risultati si vedono. Il meccanismo ha funzionato con le Br e altre formazioni simili. Penso che valga anche per questo genere di terrorismo".

Per molti addetti ai lavori, magistrati, giuristi e avvocati, sarebbe opportuno modificare il concetto di 'terrorismo internazionale' quale viene enunciato nell'articolo 270 bis, inserito nel codice penale nell'ottobre del 2001. Un testo troppo generico, si dice. È successo infatti che, proprio a Milano, vari imputati islamici, pur accusati di terrorismo internazionale, siano stati poi condannati soltanto per reati minori: falsificazione di passaporti, agevolazione dell'immigrazione clandestina e così via. Qual è il suo giudizio? Molti infine si chiedono come si può colpire chi recluta kamikaze per la guerra in Iraq.

"È vero, ci sono state sentenze deludenti per alcuni pm, pur se non definitive. Ricordo però che a Cremona sono state condannate le stesse persone per le quali il gip di Milano aveva ritenuto l'inesistenza di indizi. Quanto a chi arruola kamikaze è sufficiente rifarsi alla legge del luglio 2005, il cosiddetto decreto Pisanu, che punisce questa specifica condotta".

Ma il concetto di 'terrorismo internazionale' non andrebbe precisato meglio?

"In Italia intanto sono stati condannati una settantina di militanti per associazione a delinquere semplice, per fatti commessi prima dell'ottobre del 2001, quando ancora non esisteva l'articolo 270 bis. Ma non si tratta di un problema di definizione del reato: in questa materia le indagini sono difficili, perché riguardano gruppi dalle strutture 'elastiche'. Le Br avevano capi, divisione di compiti, ramificazioni territoriali, covi, depositi di armi ed elaboravano documenti politici. Qui invece siamo di fronte a terroristi poco strutturati, uniti solo dal programma della jihad. Non abbiamo trovato loro covi, depositi di armi o esplosivi. Più complicato quindi provare il reato associativo. In compenso possiamo affermare che fin dal '95 la nostra polizia giudiziaria ha un elevato livello di conoscenza del fenomeno. Si spera così che tutto sia sotto controllo".

Eppure il decreto Pisanu ha introdotto la possibilità di 'intercettazioni preventive'. Qual è il bilancio?

"Non sono le Procure della Repubblica a rilasciare le autorizzazioni, ma le Procure generali. Mi risulta comunque che, tra Milano e Brescia, non siano state superiori alle dita di una mano".

Si parla molto in questi giorni della riforma dei servizi segreti. Qual è la sua opinione?

"La legge che li ha istituiti nel '77 è da modificare, non ci sono dubbi. Si tratta di stabilire quali sono i loro compiti. Anzi, prima di tutto che cosa i servizi non devono fare. Non devono essere un duplicato degli uomini della polizia giudiziaria, che già si occupano, anche 'undercover', di lotta al terrorismo, al traffico di droga o di armi. La funzione dei servizi non è quella di scoprire reati (le cui notizie devono infatti comunicare alla polizia giudiziaria), ma di acquisire informazioni a scopo preventivo, anche in relazione, è ovvio, a rischi di attentati".

Una parte dell'opinione pubblica dà per scontato che per fare certi lavori gli uomini dei servizi devono 'sporcarsi le mani', quindi essere pronti a varcare il confine della legalità...

"Questo è il capitolo delle 'garanzie funzionali', ovvero del catalogo delle condotte eventualmente consentite. In un progetto di legge ancora in discussione si escludono solo reati contro la personalità dello Stato e contro l'incolumità personale. Teoricamente dunque sarebbe autorizzabile perfino la rapina. E se poi ci scappa il morto? No, da tecnico vorrei dire che la rosa dei comportamenti illeciti degli agenti segreti va costruita in rapporto all'obiettivo di raccogliere informazioni e quindi limitata: intercettazioni telefoniche e ambientali, ingressi in case private, utilizzo di documenti falsi, eccetera. Con sanzioni per la violazione eventuale del 'mandato'. O si potrebbe, se si vuole, imitare i francesi che all'interno di un servizio segreto hanno dato vita a un'articolazione 'palese', che agisce come una vera e propria polizia giudiziaria".

Ma chi dovrebbero essere i controllori?

"Sarebbe opportuna l'assunzione di responsabilità politica da parte del presidente del Consiglio, previa valutazione di un comitato ristretto di tecnici con la partecipazione dell'opposizione ".

In Italia abbiamo due entità preposte alla sicurezza dello Stato: il Sismi, il servizio esterno di controspionaggio, che dipende dal ministero della Difesa, e il Sisde, il servizio interno, che dipende dal Viminale. Devono continuare a essere separati?

"Se guardiamo alla legge del '77 ci accorgiamo che le definizioni dei loro compiti sono praticamente identiche. Spesso Sismi e Sisde si sovrappongono, le loro operazioni si incrociano. Inoltre non credo che esistano ancora quei timori di deviazioni antidemocratiche che hanno determinato la scelta di due servizi. Pertanto sono convinto che sarebbe più utile un solo servizio, con competenze interne diversificate, ma con direzione unitaria".

Segreto di Stato. Come può essere garantito il suo rispetto in relazione all'attività dei servizi segreti? Se ne discute molto negli ultimi tempi, a partire dalla sua inchiesta sul sequestro di Abu Omar...

"Della quale non intendo parlare. Ricordo una sentenza della Corte costituzionale del '98: il segreto di Stato 'non delinea alcuna ipotesi di immunità sostanziale collegata all'attività dei servizi d'informazione'. In altre parole non tutto può essere coperto dal segreto. Sarebbe così impossibile indagare su qualsiasi reato eventualmente commesso proprio da appartenenti al servizio. Inoltre, si deve considerare il diritto dell'opinione pubblica di essere informata in modo corretto sulle linee d'azione dei servizi segreti. Come è avvenuto poco tempo fa negli Usa, dove i direttori del 'New York Times' e del 'Los Angeles Times', in un articolo a firma congiunta del primo luglio, hanno rivendicato l'alto ruolo dell'informazione. Si riferivano alle denunce fatte dai loro giornali delle intercettazioni abusive della Nsa a carico di cittadini americani senza l'autorizzazione del giudice".

Di recente Panebianco ha scritto un articolo sul 'Corriere' nel quale in pratica ammette la possibilità di ricorrere a un po' di tortura pur di strappare ai terroristi ammissioni in grado di svelare complotti e attentati...

"Mi stupisce che un intellettuale lanci l'idea di creare una 'zona grigia' tra legalità e illegalità. L'Italia ha ben conosciuto il terrorismo. Le cifre, tremende, sono lì a testimoniare un drammatico periodo: 14.591 atti di violenza tra il gennaio '69 e il dicembre '87. Tra il '69 e l'87 ben 419 omicidi, di cui 149 firmati dalle Br. Come ha detto Sandro Pertini l'Italia ha battuto il terrorismo nelle aule di giustizia, non negli stadi. Ma un conto è invocare leggi speciali per favorire la lotta a questo fenomeno, come è accaduto con le leggi del 2001 e del 2005. Altro è teorizzare l'esistenza di una 'zona grigia' che consentirebbe gravissimi abusi: semplicemente impensabile".










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