COME L'ANNO SCORSO: E ADESSO?

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Roberto Corradi
00domenica 11 settembre 2005 22:43

COME L'ANNO SCORSO: MA ADESSO SAREBBE ORA DI PRENDERE QUALCHE DECISIONE.
COME FACCIAMO? "FACCIAMO COME NOI?", COME DICE PRODI?
MA "COME" FACCIAMO NOI?
CHE ABBIA RAGIONE MAGDI ALLAM QUANDO DICE "Comunque vada a finire l'insegnamento
da trarre è che prima ancora di poter risolvere i problemi altrui, gli italiani
devono risolvere i propri"?



CORRIERE DELLA SERA
12 luglio 2004
Autosegregati nella scuola che è di tutti
IL CASO DI MILANO
Claudio Magris

A differenza che nei regimi totalitari, in democrazia si può e si deve mettere
in discussione quasi tutto; essa anzi consiste nell?insieme di regole che
consentono a ognuno - a ogni individuo e a ogni gruppo - di esprimere liberamente
le proprie opinioni e di battersi per i propri valori, rispettando, ascoltando
e valutando quelli degli altri e magari alla fine accettandoli, se nel dialogo
risultano più convincenti. Per rendere possibile questo civile confronto,
la democrazia deve escludere e vietare ciò che lo impedirebbe, proibire ad
esempio di far valere le proprie ragioni con la violenza e così via. Alla
base della libertà ci sono alcuni principi fondamentali che non vengono più
messi in discussione. L?uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, nazionalità o religione, è per esempio uno di
tali principi non negoziabili. Non siamo disposti a discutere con chi volesse
negare il diritto di voto alle donne o ai neri o ai cattolici o agli atei.
Anche nelle scelte morali, intellettuali o semplicemente pratiche della nostra
vita quotidiana ci comportiamo in tal modo: discutiamo con chi afferma o
nega un credo religioso, ma non con chi giustifica l?omicidio; cerchiamo
di valutare l?opportunità o meno di assumere un certo farmaco, ma non prendiamo
in considerazione l?idea di curare il mal di gola mettendoci in bocca la
coda del gatto, come suggeriva, quand?ero bambino, una nostra vicina di casa.
Questa messa al bando di alcune opinioni è sempre dolorosa, perché anche
chi fa proposte aberranti o strampalate è un essere umano, ma è inevitabile.
La richiesta, avanzata da venti scolari o meglio dai loro genitori, di costituire
al liceo di Scienze sociali «Agnesi», a Milano, una classe formata esclusivamente
da alunne e alunni musulmani, è una richiesta irricevibile, che non avrebbe
dovuto esser nemmeno presa in considerazione bensì lasciata cadere nel cestino.
Non è in questione l?Islam, una delle grandi religioni monoteiste ossia uno
dei fondamenti dell?umanità e della spiritualità umana, la civiltà che ha
dato al mondo i fregi dell?Alhambra o la poesia di Rumi, non meno abissali
degli affreschi della Sistina o dei versi di Lucrezio, e che anche oggi è
ricca di creatività artistica, religiosa, culturale. Questa richiesta di
chiudersi in un ghetto, che avrebbe potuto essere avanzata da un razzista
invasato da odio antimusulmano, è un?offesa a tutti, anche e in primo luogo
all?Islam, che rischia così, ancora una volta, di essere identificato con
le sue più basse degenerazioni, che non risparmiano peraltro alcuna Chiesa.
L?unico punto che può essere ragionevole di quella richiesta è l?ora separata
di ginnastica per le ragazze, che tiene conto di una mentalità discutibile
ma radicata in quelle famiglie e dunque può evitar loro qualche inutile turbamento.
La scuola non forma né ha da formare cattolici, protestanti o agnostici.
È un fondamentale servizio pubblico, che deve fornire a tutti, senza alcuna
discriminazione, gli strumenti e le conoscenze per orientarsi nel mondo e
trovare in esso una propria strada dignitosa, dalla sopravvivenza materiale
all?esplicazione della propria persona. Essa è un servizio pubblico, perché
interessa e riguarda l?intera comunità di uno Stato, così come è un servizio
pubblico la difesa, che protegge quella comunità dalle aggressioni. La scuola
non ha da insegnare a credere in Cristo o in Maometto, ma dovrebbe contribuire
a formare un individuo capace di accostarsi liberamente e spiritualmente
ai grandi interrogativi dell?esistenza e alle risposte date loro dalle grandi
religioni e filosofie. La scuola non può non essere laica, perché laico non
significa, come tanti ignoranti continuano a ripetere, non-credente o non-praticante,
bensì indica colui che, credente o ateo, sa distinguere ciò che compete alla
fede e ciò che compete alla ragione, ciò che riguarda la Chiesa e ciò che
riguarda lo Stato. Uno dei più grandi laici che ho conosciuto era il cattolicissimo
Arturo Carlo Jemolo, intransigente avversario di ogni scuola privata e confessionale
indebitamente sovvenzionata dallo Stato. La scuola non è e non può essere
né una sagrestia né un seminario teologico; naturalmente essa si inserisce
nella civiltà a cui appartiene e nelle sue tradizioni; solo una mente ottusa
può scandalizzarsi che in una scuola del nostro Paese ci sia un crocefisso,
perché il cristianesimo - come diceva un non credente quale Benedetto Croce
- fa parte della nostra civiltà, a prescindere dalle nostre opinioni. Sarebbe
un intollerabile sopruso costringere gli scolari alla devozione nei confronti
di quel crocefisso, ma lì, appeso al muro, esso non fa male a nessuno, come
non lo farebbero, nella scuola di un Paese islamico o buddhista, un segno
o un?immagine che ricordassero il ruolo avuto da quelle religioni nei loro
Paesi.
La scuola è scuola di tutti, portino essi uno zucchetto, una croce o un velo,
che non offendono nessuno, purché il velo non impedisca all?insegnante che
chiede alla studentessa di risolvere un?equazione alla lavagna di identificarla,
onde non accada quello che accadeva nella scuola elementare in cui insegnava
mia madre, in cui c?erano due indistinguibili gemelli che si facevano interrogare,
a seconda dei casi, l?uno al posto dell?altro. All?«Agnesi» quelle 17 ragazze
e quei 3 ragazzi islamici dovranno studiare non le sure del Corano che approfondiranno
altrove, né i misteri del Rosario, bensì geografia e matematica, storia,
francese e diritto; dovranno sapere il triangolo di Tartaglia e i verbi irregolari,
la rivoluzione industriale e il movimento operaio, l?influsso della politica
sull?ambiente e sul clima, cos?è una norma e cos?è un contratto. Perché deve
essere terribile, scandaloso, pericoloso, ripugnante per essi avere un compagno
- o compagna - di banco cattolico, valdese, ebreo o né battezzato né circonciso?
È così debole, la fede loro o dei loro genitori, da temere che far copiare
un tema a un compagno avventista faccia vacillare la parola di Allah? Se,
ahimè molti anni fa, quando ho iscritto i miei figli al liceo, avessi preteso
che venissero assegnati a una classe formata solo da cattolici purosangue
e non contaminata da ebrei, protestanti, musulmani o miscredenti, il preside
mi avrebbe fatto sbattere fuori dal bidello e non avrebbe scomodato il consiglio
di classe per la mia richiesta, considerandola odiosa o scervellata. Chi
non tollera accanto a sé la presenza di un essere umano d?altra religione
o che non ne professa alcuna, è un razzista intollerante.
La società multietnica, cui ci stiamo inevitabilmente avviando e che potrà
rinnovare e arricchire grandemente la nostra creatività e la nostra cultura,
esige dialogo, confronto, discussione e la scuola dovrebbe esserne il vivo
crogiolo, non un convitto militare a compartimenti stagni. Le diversità sono
manifestazioni distinte ma solidali della comune universalità umana, non
diversità selvagge e irrelate, come predicava negli anni Settanta una pseudocultura
che esaltava le sgrammaticature e le visceralità, credendosi di sinistra
e preparando in realtà la strada all?odierna brutalità anarco-liberista che
inneggia alla diseguaglianza; non è un caso che molti ex squartatori di libri
(«Feticci della cultura borghese», si diceva) siano oggi yuppies giulivi.
Ma ben più gravi sono stati e sono l?assalto crescente alla scuola pubblica
e il sostegno alla scuola privata, condotti da un governo di centro-destra
che è tutto tranne laico e liberale e che privilegia la scuola privata e
confessionale per mendicare l?appoggio della Chiesa cattolica e solleticare
i gretti particolarismi e localismi che non vedono più in là del loro cordone
ombelicale non ancora reciso e andato a male come carne guasta e hanno perso
del tutto il senso dello Stato e dell?Italia, e sognano una scuola in cui
si legga El Moroso de la nona di Giacinto Gallina anziché L?infinito di Leopardi.
La Prima Repubblica, governata dai democristiani, ha difeso la scuola pubblica
molto di più della Seconda Repubblica. Ma De Gasperi era un cattolico liberale
e laico, a differenza del suo attuale successore al quale i tre termini si
addicono ben poco, e aveva al suo fianco piccoli ma gloriosi partiti laici,
ora scomparsi, come il Partito Liberale o il mio Partito Repubblicano.
Il pluralismo - sale della vita, della democrazia e della cultura - non consiste
in una serie di mini mondi chiusi in se stessi e ignari l?uno dell?altro,
bensì nell?incontro, nel dialogo e nel confronto; l?endogamia - fisica, culturale,
religiosa - produce facilmente il cretinismo e altri fenomeni degenerativi.
Una grande religione, poi, è chiamata a parlare al mondo. Gesù non ha fondato
una loggia esclusiva ma ha mandato gli apostoli ad annunciare, senza imporla,
la Buona Novella. Quegli alunni autosegregazionisti dell?«Agnesi» dovrebbero
sapere che quell?uomo crocifisso, che essi hanno fatto togliere, per la loro
religione è un grande profeta da venerare.


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LA REPUBBLICA
13 LUGLIO 2004
LA SCUOLA DI MILANO E IL NEGOZIATO TRA CULTURE
Umberto Eco

Il principio fondamentale che regola - o dovrebbe regolare - gli affari umani,
se si vogliono evitare conflitti e incomprensioni, o inutili utopie, è quello
della Negoziazione. Il modello della negoziazione è quello del bazar orientale:
il venditore chiede dieci, tu vorresti dare al massimo tre e tre proponi,
e quello rilancia a nove, tu sali a quattro, quello scende a otto, tu ti
spingi a offrire cinque e quello ribassa a sette. Finalmente ci si mette
d´accordo su sei, tu hai l´impressione di avere vinto perché hai aumentato
solo di tre e quello è sceso di quattro, ma il venditore è egualmente soddisfatto
perché sapeva che la merce valeva cinque. Alla fine però, se tu eri interessato
a quella merce e lui era interessato a venderla, siete abbastanza soddisfatti
entrambi.
Il principio della negoziazione non governa solo l´economia di mercato, i
conflitti sindacali e (quando le cose vanno bene) gli affari internazionali,
ma è alla base stessa della vita culturale. Si ha negoziazione per una buona
traduzione (traducendo perdi inevitabilmente qualcosa del testo originale,
ma puoi elaborare soluzioni di recupero) e persino per il commercio che noi
facciamo delle parole, nel senso che tu ed io possiamo assegnare a un certo
termine significati difformi, ma se si deve arrivare a una comunicazione
soddisfacente ci si mette d´accordo su un nucleo di significato comune sulla
base del quale si può procedere ad intendersi. Per alcuni piove solo quando
l´acqua scende a catinelle, per altri già quando si avvertono alcune goccioline
sulla mano ma se, quando problema è se scendere alla spiaggia o meno, ci
si può accordare su quel tanto di "piovere" che fa la differenza tra andare
o non andare al mare. Un principio di negoziazione vale anche per l´interpretazione
di un testo (sia esso una poesia o un antico documento) perché, per tanto
che ne se ne possa dire, davanti a noi abbiamo quel testo e non un altro,
e anche un testo è un fatto. Così come non si può cambiare il fatto che oggi
piova, non si può cambiare il fatto che I promessi sposi inizia col "quel
ramo del lago di Como", e a scrivere (o intendere) Garda invece di Como si
cambia romanzo. Se, come dicono alcuni, al mondo non ci fossero fatti ma
solo interpretazioni, non si potrebbe negoziare, perché non ci sarebbe alcun
criterio per decidere se la mia interpretazione è migliore della tua.
Si possono confrontare e discutere interpretazioni proprio perché le si mettono
di fronte ai fatti che esse vogliono interpretare.
Raccontano le gazzette che un ecclesiastico disinformato mi avrebbe recentemente
annoverato tra i Cattivi Maestri perché io sosterrei che non esistono fatti
ma solo interpretazioni. Non fa problema il Cattivo Maestro (luciferinamente
vorrei esserlo ma, crescendo in età e sapienza, mi scopro vieppiù un Pessimo
Alunno), ma è che in molti miei scritti ho sostenuto esattamente il contrario,
e cioè che le nostre interpretazioni sbattono continuamente la testa contro
lo zoccolo duro dei fatti, e i fatti (anche se spesso sono difficili da interpretare)
sono lì, solidi e invasivi, a sfidare le interpretazioni insostenibili.
Mi rendo conto di avere fatto un giro troppo lungo per tornare al mio concetto
di negoziazione, ma mi sembra fosse necessario farlo. Si negozia perché,
se ciascuno si attenesse alla propria interpretazione dei fatti, si potrebbe
discutere all´infinito. Si negozia per portare le nostre interpretazioni
divergenti a un punto tale di convergenza, sia pure parziale, da potere insieme
fare fronte a un Fatto, e cioè a qualcosa che è là e di cui è difficile sbarazzarsi.
Tutto questo discorso (che poi porta al principio che bisogna venire ragionevolmente
a patti con l´inevitabile) nasce a proposito della decisione presa da un
liceo milanese di istituire, su richiesta dei genitori immigrati, una classe
di soli alunni musulmani. Il caso appare bizzarro perché ci vorrebbe poco,
ad essere ragionevoli, a mettere metà alunni musulmani in una classe metà
nell´altra, favorendo la loro integrazione coi loro compagni di altra cultura,
e permettere a quei loro compagni di comprendere ed accettare ragazzi di
una cultura diversa. Questo tutti vorremmo, se vivessimo nel migliore dei
mondi possibili. E´ tuttavia un Fatto che il mondo in cui non viviamo non
è il migliore di quelli che potremmo desiderare, anche se per alcuni teologi
medievali Dio stesso non poteva concepirne uno migliore, e quindi dovremmo
accontentarci di questo.
Mi accade sempre di essere al cento per cento d´accordo su quanto scrive
il mio amico Claudio Magris (via, per non compromettermi e non mettere lui
nell´imbarazzo, diciamo al novantanove virgola novantanove) ma vorrei avanzare
alcune obiezioni al suo articolo apparso ieri sul Corriere della Sera. Il
suo ragionamento, in termini di Dover Essere, è impeccabile. Ricordando che
la decisione è stata determinata dal fatto che i genitori dei ragazzi hanno
posto in sostanza un aut aut, o si fa così o non li mandiamo a scuola, Magris
commenta che «questa richiesta di chiudersi in un ghetto, che avrebbe potuto
essere avanzata da un razzista invasato da odio antimusulmano, è un´offesa
a tutti, anche e in primo luogo all´Islam, che rischia così, ancora una volta,
di essere identificato con le sue più basse degenerazioni?. Perché deve essere
terribile, scandaloso, ripugnante per essi avere un compagno ? o compagna
? di banco cattolico, valdese, ebreo o né battezzato né circonciso?... Il
pluralismo - sale della vita, della democrazia e della cultura ? non consiste
in una serie di mondi chiusi in se stessi e ignari l´uno dell´altro, bensì
nell´incontro, nel dialogo e nel confronto?».
Sono naturalmente disposto a sottoscrivere queste osservazioni, tanto che
da alcuni anni insieme ad altri amici e collaboratori mi sforzo di alimentare
un sito Internet dove si danno consigli agli insegnanti di ogni razza e paese
per portare i loro ragazzi alla mutua comprensione e accettazione della diversità
(si può trovare il sito su Kataweb oppure presso l´Academie Universelle des
Cultures) - e naturalmente per comprendersi e accettarsi a vicenda bisogna
vivere insieme. Questo certamente dovrebbe essere fatto comprendere anche
ai genitori che hanno preteso per i loro bambini l´autosegregazione ma, non
conoscendo la situazione specifica, non so sino a che punto queste persone
siano permeabili alle argomentazioni di Magris, che faccio mie.
L´unico punto su cui obietto a Magris è l´affermazione che questa richiesta
fosse «irricevibile» e che «non avrebbe dovuta essere nemmeno presa in considerazione
bensì lasciata cadere nel cestino». Si può dare ascolto a una richiesta che
in linea di principio offende le nostre convinzioni? Queste nostre convinzioni
riguardano il Dover Essere (un essere che, siccome non è ancora, sta sempre
al di là, e per questo suscita dibattito infinito e infinite interpretazioni).
Ma il dibattito sul Dover Essere, nel caso in discussione, si scontra con
un Fatto, che, come tutti i Fatti, non deve essere discusso. Di fronte a
un fatto come un´eruzione vulcanica o una valanga non si pronunciano giudizi
di merito, si cercano rimedi. Il fatto a cui siamo di fronte è che una comunità
di genitori (a quanto pare egiziani) ha detto alla scuola «o così, oppure
i ragazzi non vengono». Non so se l´alternativa sia mandarli a studiare in
Egitto, non farli studiare affatto o fornire loro un´educazione esclusivamente
musulmana in qualche forma privata. Escludendo la prima possibilità (che
eventualmente potrebbe piacere alla Lega: ci sbarazziamo di questi mocciosi
e li rimandiamo a casa - versione addolcita del "meglio ucciderli sino a
che sono piccoli"), la seconda sarebbe deprecabile perché sottrarrebbe a
questi giovani immigrati il diritto a una educazione completa (sia pure per
colpa dei genitori e non dello Stato). Rimane come ovvia la terza soluzione,
che ha il triplice svantaggio di essere del tutto ghettizzante, di impedire
a questi ragazzi di conoscere la cultura che li ospita, e probabilmente di
incrementare un isolamento fondamentalista. Inoltre non si sta parlando di
educazione elementare, per fornire la quale potrebbero anche mettersi insieme
dei genitori volonterosi, ma di educazione liceale, e dunque di cosa un poco
più complessa. A meno che non si istituiscano scuole coraniche equiparate
alla scuola pubblica, cosa possibile visto che lo è per le scuole private
cattoliche ma, almeno per me, non troppo auspicabile, se non altro perché
rappresenterebbe un´altra forma di ghettizzazione.
Se i fatti sono questi e queste le alternative, allora si può comprendere
la decisione della scuola milanese, risultato di una ragionevole negoziazione.
Visto che a rispondere di no i ragazzi andrebbero altrove, o da nessuna parte,
si accetta la richiesta, anche se in linea di principio non la si condivide,
e si sceglie il minor male, sperando che si tratti di soluzione transitoria.
I ragazzi rimarranno in classe soli tra loro (il che è una perdita anche
per loro) ma in compenso riceveranno la stessa istruzione che riceve un ragazzo
italiano, si potranno familiarizzare meglio con la nostra lingua e persino
con la nostra storia. Siccome non sono degli infanti ma dei liceali, potrebbero
ragionare con la loro testa e fare i dovuti confronti, e persino cercare
autonomamente contatto coi loro coetanei italiani (o cinesi, o filippini).
Nessuno ci ha ancora detto che la pensino esattamente come i loro genitori.
Inoltre, visto che si tratta di un liceo dove si studiano tante materie e
tante dottrine, se gli insegnanti saranno bravi e delicati, gli studenti
potranno apprendere che nel nostro paese ci sono certe credenze, certi costumi,
certe opinioni condivise dai più, ma non sarebbe male anche consigliar loro
di leggere alcune pagine del Corano, per esempio quelle in cui si dice «Crediamo
in Dio, e in ciò che ci ha rivelato, e in ciò che ha rivelato ad Abramo,
a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle Tribù, e a quel che è stato detto a
Mosé e a Gesù, e in quel che è stato dato ai profeti del Signore: non facciamo
nessuna differenza tra di loro?Quelli che praticano l´ebraismo, i cristiani,
i sabei, chiunque ha creduto in Dio e nel giorno ultimo e compie opera buona,
avranno la loro ricompensa presso il Signore? Gareggiate dunque nelle buone
opere. Tutti ritornerete a Dio, che allora v´informerà su ciò su cui divergete?
E non disputate con le genti del Libro se non nel modo più cortese, eccetto
con quelli di loro che agiscono ingiustamente, e dite: "Crediamo in ciò che
è stato fatto scendere a noi e in ciò che è stato fatto scendere a voi: il
vostro Dio e il nostro Dio sono uno"».
Come e cosa potranno pensare questi ragazzi dopo alcuni anni di vita, separata
sì, ma pur sempre nel quadro della cultura ospite, non lo sappiamo, per l´ovvia
ragione che l´avvenire è nel grembo di Allah. Ma probabilmente il risultato
sarà più interessante che se fossero vissuti in una scuola privata e doppiamente
ghettizzata.
Tutti aspiriamo al meglio ma abbiamo tutti imparato che talora il meglio
è nemico del bene, e dunque negoziando si deve scegliere il meno peggio.
E chissà quante di queste negoziazioni non si dovranno fare in futuro per
evitare il sangue in una società multietnica. Accettare il meno peggio, sperando
che non diventi costume, non esclude che ci si debba battere per realizzare
il meglio anche se, come è ovvio, il meglio non essendo un fatto, bensì un
fine, rimane oggetto di molte interpretazioni.


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L'UNITA'
14 LUGLIO 2004
MORATTI: CHE TORNINO IN MOSCHEA
Furio Colombo

Il ministro Moratti ? con una decisione tipica del suo modo di operare conformista
e fatto soltanto di big bang di retorica - ha fatto cadere l?intelligente
idea degli insegnanti del liceo "Agnesi" di Milano. Il risultato è che venti
ragazzi egiziani di religione islamica non frequenteranno una scuola statale
italiana, si rifugeranno nell?aula di qualche moschea, impareranno solo il
Corano, non sfioreranno alcun aspetto, nome, fatto della cultura italiana
perché, nonostante il realismo e l?ingegnosità di un gruppo di bravi insegnanti,
la Moratti ha detto no.
C?è da domandarsi se, adesso, i rappresentanti dei Ds e di Rifondazione comunista
che, insieme alla Lega, e come la Moratti, avevano già detto risolutamente
di no, adesso siano soddisfatti.
No a che cosa? Al fatto che - per tranquillizzare le famiglie - la scuola
milanese aveva accettato di accogliere i ragazzi egiziani in un?aula che
avrebbe avuto un?unica differenza, rispetto alle altre aule: niente simboli
religiosi. Ma, in comune con tutto il resto della scuola, avrebbe assunto
l?impegno di seguire integralmente il programma della scuola pubblica italiana,
proprio come in tutte le altre classi.
Invano Umberto Eco, su "la Repubblica" di ieri ha spiegato pazientemente
e meticolosamente che la classe senza simboli religiosi era il risultato
di una negoziazione. I parenti egiziani dei nuovi studenti accettavano tutto,
della scuola italiana, ma non volevano simboli cristiani. I ragazzi italiani
non avrebbero potuto andare con i nuovi compagni di scuola egiziani in quell?aula
perché la legge italiana (o almeno la scuola della Moratti) invece quel simbolo
lo esige.
Dunque la classe senza simboli era l?esito positivo di una negoziazione,
tenendo conto di limiti reciproci. C?è da sperare che il teorema di Eco (il
meglio è nemico del bene) abbia persuaso almeno i vivaci critici di sinistra
che si sono levati a sgridare gli insegnanti milanesi. Infatti se il meglio
è l?integrazione piena e fraterna, che però nella scuola italiana, ovviamente
non laica, è impossibile, il bene era l?espediente con cui i tenaci professori
di Milano avevano trovato un modo di accogliere i ragazzi egiziani. Quel
modo, che abbiamo appena descritto, e che tanti hanno prontamente criticato,
adesso si risolve in niente. Niente è una gran bella soluzione: nessuno dei
ragazzi islamici andrà a quella scuola pubblica italiana e non se ne parla
più. Contenti?
Eppure bisognava capire subito che se uno si trova, per qualsiasi ragione
e su qualunque questione, dalla parte della Lega, è sicuramente dalla parte
sbagliata.
Adesso, trovarsi dalla parte della Moratti è ancora più imbarazzante. Ci
pensate? Abbiamo invitato venti adolescenti immigrati a non venire a scuola
perché, con la soluzione trovata dagli insegnanti di Milano (aula senza simboli
religiosi solo per loro) non sarebbero stati abbastanza integrati. Giorno
triste, per l?integrazione, per la scuola italiana, per il buonsenso.
Ma attenzione. Questo governo che dice che in una classe senza crocefisso
non sei abbastanza integrato, è lo stesso governo che ha tenuto per venti
giorni, in piena estate, in mezzo al mare, alcune decine di profughi africani,
dunque dall?inferno del mondo. Poi li ha ammessi a sbarcare solo perché il
capitano che li aveva salvati ha forzato il blocco. Ma quello stesso governo
ha fatto prontamente arrestare il capitano della nave, esponente di una associazione
di volontariato che ha come scopo di salvare i naufraghi. Lo ha arrestato
con l?infamante accusa di traffico di clandestini. Un messaggio per dire
a ogni altro comandante: lungo le coste italiane nessuno provi a salvare
naufraghi, disperati, gommoni alla deriva.
Che cosa c?è in comune tra le due storie? C?è il grado infimo di civiltà
imposto all?Italia da questo governo che è efficiente solo nelle attività
di persecuzione. E c?è il ministro Castelli, contento, adesso sia della espulsione
degli studenti egiziani dalla scuola italiana che dell?arresto del capitano
di una nave che aveva osato salvare naufraghi lungo le coste italiane. Due
minacce intollerabili per l?integrità della nostra stirpe.


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L'UNITA'
15.07.2004
Era un passo indietro
di Paolo Flores d?Arcais

Caro direttore,
dissento toto corde (insomma: senza se e senza ma - come non si usa più)
dal tuo editoriale sulla questione della classe islamica di Milano. La ministra
Moratti andava certamente censurata, ma il giorno stesso in cui si è avuta
notizia dell'antidemocratica, anti-laica, anticostituzionale iniziativa del
liceo ?Agnesi?: per omissione, per non essere intervenuta subito. E l?occasione
avrebbe dovuto spingere a una riflessione: una iniziativa come quella della
classe islamica è l'estrema ma logica conseguenza di una scuola (e relativo
Stato) ancora troppo confessionale come quella italiana.
Valga il vero: nelle nostre aule, che dovrebbero essere lo spazio comune
di tutti quei ?cittadini in formazione? che sono gli alunni, è ancora obbligatorio
il simbolo di una religione: con il che quello spazio ?comune? viene privatizzato,
a detrimento di chi professa una religione diversa, e soprattutto di chi
non è credente. Nelle nostre aule vige ancora l?insegnamento di una religione
(con professori nominati dal Vaticano, e che possono poi passare ad altro
insegnamento, senza relativi concorsi).
Ma tali aule non diventerebbero affatto pubbliche e pluraliste se al crocefisso
si accompagnasse il velo, o la kippà, il corano o il candelabro a sette braccia,
o un simbolo buddista, dei testimoni di Geova, eccetera. Né se si insegnassero,
ciascuna con i suoi insegnanti, tutte le religioni.
Il carattere pluralista, laico, critico di una scuola (critico, soprattutto:
altrimenti che scuola è?) si assicura in un solo modo: neutralizzando ogni
confessionalismo: evitando dunque ogni simbolo religioso, e insegnando la
storia (critica!) delle religioni, come parte della storia della cultura
(o della storia tout court ).
I genitori islamici di Milano, del resto, non chiedevano affatto semplicemente
aule senza crocefisso. Chiedevano ragazze con il velo, ginnastica separata
per maschi e femmine, e soprattutto nessuna ?contaminazione? con studenti
di diverse religioni (o, Dio non voglia, studenti atei). E neppure i programmi
sarebbero stati davvero gli stessi: basta leggere quanto hanno dichiarato
nei giorni scorsi gli insegnanti, sugli sforzi di ?adattamento? - tra cultura
islamica (alquanto integralista) delle famiglie e programmi ministeriali
- che si preparavano volonterosamente a fare.
Perché se si fosse trattato solo di aule senza crocefisso, questa avrebbe
dovuto da tempo essere una nostra richiesta (nostra: di tutti i democratici,
credenti o non credenti). Così come dovrebbe essere intransigente il rifiuto
democratico ad ogni altra discriminazione confessionale (o etico-confessionale),
tipo velo, ginnastica separata, eccetera.
E non si dica che con tali laico-democratiche pretese si sarebbe di fatto
preclusa la scuola ai ragazzi figli di islamici. La scuola in Italia è obbligatoria
, fino ai sedici anni, vogliano o non vogliano i genitori. Basta far rispettare
la legge, anche contro la volontà dogmatico-confessionale di un padre-padrone.
Perché i figli non sono proprietà dei genitori: i figli sono difesi dalla
legge, anche contro i genitori (altrimenti, perché il telefono azzurro?).
Ma i genitori potrebbero rimandare i loro figli in Egitto, si dice. Se tali
genitori non sono ancora cittadini italiani, probabilmente sì: ma, se non
vogliono che i figli crescano (liberamente e criticamente) tra "miscredenti",
credo che sarebbe moralmente doveroso rispedire in Egitto anche loro.
Insomma, caro direttore: non credo proprio che la democrazia sia compatibile
con la moltiplicazione dei confessionalismi (neppure in dosi omeopatiche)
o con il "pluralismo degli integralismi" (che mi sembra "contradictio in
adiecto"). L'unico atteggiamento democraticamente possibile, in fatto di
rapporto tra i cittadini e le religioni, è quello della laicità dello Stato:
senza se e senza ma (anche se non usa più).
Altrimenti, cominciando con le scuole confessionali (cattoliche, ebraiche,
islamiche, ma poi anche dei testimoni di Geova, e perché no del maoismo-tendenza
Enver Hodia, se il numero degli adepti diventasse un domani sufficiente)
sarebbe difficile dire no al riconoscimento di costumi matrimoniali diversi
(poligamia) e ad altri doveri previsti dalle varie religioni o ideologie
(non solo l'infibulazione e altre mutilazioni sessuali - presso alcuni popoli
è massima pietas del sacro cibarsi del corpo dei propri nemici morti, o viceversa
dei propri cari. In nome di quale razzismo accetteremo i dettami della religione
dell'Islam e non quelli dei Guayaki o dei Tupi-Guarani?).
Che si rischi questa deriva - per cui "cuius religio, eius lex" - anche a
causa della paradossale convergenza tra integralismo religiosi (tra i quali,
non certo "ultimo", quello del cattolicesimo stile Wojtyla) e dogmatismo
delle sinistre identitarie e comunitariste del politically correct, e si
ritorni dunque alle città medioevali dove vigevano contemporaneamente più
sistemi giuridici (a seconda della religione, del ceto, eccetera) è mia convinzione
da tempo: oltre dodici anni fa vi dedicai un capitolo intero del mio libro
«Etica senza fede» (non a caso intitolato «Il conformismo della differenza»).
Ora, tutti i nodi sono al pettine, e un confronto che arrivi alla radice,
al nodo dei nodi, al carattere ineludibilmente laico di uno Stato democratico,
mi sembra improcrastinabile all'interno della sinistra (e comporterà conseguenze
su tutte le questioni bioetiche, nel centro-sinistra troppo spesso affidate
a compromessi inammissibili con perduranti ipoteche confessionali): una sinistra
che ancora paga le conseguenze del "bacio della pantofola" togliattiano su
articolo 7 e patti lateranensi.
Ecco perché trovo deprimente che a ricordare quelle che in un orizzonte democratico
e laico dovrebbero essere ovvietà si sia levato una sola voce (voce sempre
"moderatissima", oltretutto) quella di Claudio Magris (sul «Corriere della
sera»). E trovo paradossale che le sue "ovvie" (ma ormai coraggiose) opinioni
vengano considerate massimaliste, astratte, "di principio" e quindi specularmente
"integraliste", o addirittura (è il peggio che si possa fare a una posizione)
passate completamente sotto silenzio.
Con tutto l?affetto personale, e con tutta la riconoscenza per il libero
quotidiano (ormai rarissima avis ) che dirigi, ma con profonda preoccupazione
per il tuo editoriale (come del resto per quello di Umberto Eco su «Repubblica»,
che tu citi).


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