Barilli Davide

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islagerona.
00mercoledì 17 agosto 2011 11:23
Le cere di Baracoa
Davide Barilli è un buon giornalista che sa scrivere romanzi – non è facile che le due cose vadano d’accordo – soprattutto perché riproduce profumi e ambienti di terre conosciute e rende l’ambientazione credibile, tra ricordi di odori, riti, abitudini, piatti tipici e realtà quotidiana. Le cere di Baracoa è un romanzo giallo ambientato a Cuba – una parte per me meno coinvolgente si svolge nella Bassa Padana – e per questo era impossibile che non mi affascinasse. Tra l’altro si svolge in una delle località più selvagge e fantastiche di un’isola meravigliosa, quella Baracoa, città più antica di Cuba, che Cristoforo Colombo definì la terra più bella che mai piede umano abbia calpestato. Baracoa mi fa tornare alla memoria i miei quarant’anni festeggiasti lungo un fiume e d’improvviso sembra un secolo che non vedo le sue palme, gli auras tiñosas che volteggiano nel cielo azzurro intenso, le ceibas frondose della piazza e la chiesa che nasconde i riti dei santeros. Baracoa bella e cadente, selvaggia come una landa d’Africa precipitata a Cuba, che scopre angoli di mare a ogni curva di strada, tra piccole spiagge, capanne di contadini, venditori di caffè e cioccolata, bambini che giocano con carrettini improvvisati.
Il romanzo di Barilli mi ha fatto venire voglia di tornare a Cuba, ma me la devo far passare, non posso che scriverne da lontano come faceva Cabrera Infante, sperando che qualcosa cambi.
Non amo il giallo, pure se mi è toccato scrivere qualcosa di simile nella mia vita, quasi sempre su commissione. Amo, invece, pezzi letterari come quelli che Barilli ci regala sulla più antica città di Cuba e per questo ho letto volentieri un romanzo, scritto senza cadute di stile.
Per viaggiare davvero i viaggiatori non devono avere nulla da perdere. Ma neanche da cercare. Sono queste le idee che ho in testa mentre la guagua svolta sotto le nubi che avvolgono il picco della montagna. La corriera scende lungo i tornanti avvolta da scrosci d’acqua che fumano, per l’umidità, con l’effetto di un bagno turco. Baracoa è laggiù, schiacciata nella mezzaluna della baia, in fondo alla montagna. Un nome che mi fa pensare al tronco di una pianta misteriosa, invisibile e notturna, che galleggia in mezzo a un mare placido e sconosciuto.
Bravo Barilli, che mi hai scatenato la nostalgia per una terra lontana e indimenticata come fosse un ricordo di donna che non potrai più abbracciare. Pennellate di vecchie illusioni, sogni a occhi aperti, immagini di un oriente caldo e misterioso che si lasciano attraversare dalle pedalate stanche del bicicletero Barroso. Lo seguo con il pensiero, tra momenti di vita cubana che vorrei ancora afferrare, mulatte che danzano ritmi di rumba, creole maliziose che accompagnano bambini al mare, ma purtroppo lo so che è soltanto d’una magia del passato che non riuscirò a recuperare…


di Gordiano Lupi


islagerona.
00mercoledì 17 agosto 2011 11:25
CARTE D’AVANA di Davide Barilli
Sulle pagine del Corriere della Sera così Alberto Bevilacqua scrive di Davide Barilli: “Amante dei viaggi in Centroamerica, Barilli ha alle spalle romanzi riconosciuti di rigore letterario, che l’ hanno posto in evidenza fra i nuovi narratori emiliani. In questo libretto (Carte D’Avana) c’è la verità sulla Cuba di oggi: annotata, vissuta dal di dentro, senza esotismi di maniera, miti che non esistono più. Tante le citazioni possibili. Si resta stupiti da piccoli scorci. L’ arrivo dell’ «apagòn», ossia del buio che annulla contorni e profili, e si va dal «Babalao», il santone, che accende una manciata di candeline rosse, e poi appare con una torta rosa, in una luce fiammeggiante stregonesca. È il compleanno del nulla, in onore del buio padrone delle baie enormi. E poi c’ è Juan, il ragazzino che porta le notizie che mai si leggeranno sul «Granma», il giornale del partito. Scomparse misteriose, incidenti, arresti: Juan detto «Radio Bemba», con le informazioni che scivolano sotto la griglia della censura. Affascina, Barilli, quando ci convince che la verità di certi angoli del mondo sta in un apparente «micro» da rendere luminoso nella sua natura eccentrica, anche sconvolgente. Conferma di un’ editoria appartata, ma preziosa”.
Ho intervistato Davide Barilli (che avevo già avuto modo di ospitare su Letteratitudine con il suo Le cere di Baracoa)

- Davide, perché questo grande interesse per Cuba?
Perché mi ricorda la bassa padana di mezzo secolo fa, quella che non ho visto con i miei occhi ma che mi è stata tramandata. Sono mondi che amo, anche se molto diversi. La Bassa, a ben pensarci, ha un che di sudamericano, con le sue distese infinite e nebbiose che ricordano la pampa. Luoghi dove è facile perdersi. C’è poi nella tradizione letteraria emiliana un lunatico immaginare stravolto da un orizzonte paesaggistico privo di limiti, dilatato, che scioglie i confini e materializza i fantasmi. È un imprinting che ho ritrovato, per certi versi, a Cuba. Non certo nei luoghi privilegiati dal turismo, ma nelle aree periferiche, desolate, come la parte orientale dell’isola, quella che a Cuba chiamano Palestina, una zona depressa fatta di città che si chiamano Moa, Banes o Mayarì, ma straordinariamente ricca di umanità e di storie. Mi piace imbattermi, come accade in questa Cuba povera e allegra , in personaggi anomali, inimitabili, a volte assurdi, che ho raccontato ne ”Le cere di Baracoa”, come il mio giocatore di scacchi sordomuto, allievo del grande Capablanca, oppure Barroso il bicicletero o i vecchi guajiros delle campagne. Gente curiosa e aperta al prossimo, gente che sa ancora raccontare storie, gente che ama il dialogo degli sguardi, conscia che ogni incontro è un luogo di vita.

- Cosa consiglieresti a un turista italiano che decidesse di andare in vacanza all’Avana per la prima volta?
Avana è una delle città più straordinarie del mondo. Basta perdersi dentro di lei, vivendola dal di dentro provi la sensazione di essere un re sull’orlo di un abisso. Quest’anno sto per tornare all’Havana e andrò alla Feria internazionale del libro. Un’esperienza interessante, specie dal punto di vista umano. Dimenticando l’aspetto propagandistico, particolarmente accentuato da opuscoli, raccolte e libri stampati per tener vivo il mito della Revolucion, si respira, cosa che accade sempre più di rado nei festival culturali italiani, un clima di partecipazione collettiva gioiosa. Sarà merito del luogo, il castello del Morro, un posto suggestivo e carico di storia proprio sulla baia dell’Havana, o della voglia di cultura che anima i partecipanti, ma certamente si vive un’atmosfera di spontanea voglia di cultura che coinvolge giovani intellettuali, famiglie, studenti universitari. È la parte nuova di Cuba, assetata di novità che arrivano da altri Paesi, quella che fa sperare in un futuro migliore.

- Che sensazioni hai provato nel vedere il tuo testo mischiato alle immagini di Gerardo Lunatici?
Carte d’Avana è il secondo libro di una piccola collana, intitolata Riflessi, della casa editrice Fedelo’s con cui pubblico brevi testi corredati da immagini di pittori stimati. Grazie alla libertà che mi concede l’editore Andrea Marvasi, ho potuto scegliere io gli illustratori. E nel caso di Carte d’Avana non ho avuto dubbi nel proporre a Lunatici di collaborare con me. Perché è un pittore evocativo e di talento, lo dimostrano questi acquerelli dolenti e silenziosi, adatti a rappresentare un’Avana diversa da quella turistica. Va detto che il libro nasce come una scheggia del mio ultimo romanzo “Le cere di Baracoa”. E’ una raccolta degli appunti che ho accumulato sui miei taccuini durante gli ultimi viaggi a Cuba, in particolare nella capitale; appunti fatti di incontri, sensazioni, paesaggi, abbozzi di storie. E’ composto da solo 48 pagine, edito da un nuovo editore coraggioso, ma devo dire che l’accoglienza della critica mi ha stupito; buon ultimo ne ha ampiamente parlato Alberto Bevilacqua sul Corriere della sera.

- Come immagini il futuro di Cuba?
Ogni cubano ripete come una litania una frase: No es facil. Ma la parola che meglio rappresenta la Cuba di questo periodo è un’altra. Ricordo un tipo che trasportava sulla bici, in una strada piena di buche, vicino alla città di Banes, un paio di grossi maiali legati per le zampe. Su di essi aveva appeso un cartello con la scritta “Eventual”. Ecco, questa e’ la parola. Tutto è eventuale e possibile in questa Cuba che si sta preparando al dopo Fidel. Come e’ sempre stato, la provincia vive un clima di attesa sonnolenta. Molto diversa e’ la situazione nella capitale. La gente, rispetto ad alcuni anni fa, non ha paura ad esprimere la propria opinione, almeno fra le quattro pareti domestiche. Molti riconoscono che la casa e la sanità, praticamente entrambe gratuite, sono una conquista importante della rivoluzione castrista, ma sono stanchi delle difficoltà economiche e della impossibilità di uscire dal Paese. C’è un’incredibile fame di ciò che arriva da fuori. Tutti sanno che esiste un commercio clandestino di dvd, che con i satelliti si può vedere ciò che accade ad di fuori dell’Isla. All’Havana avevano aperto un centro commerciale enorme, il Trasval, dove si vendeva ogni ben di dio in campo tecnologico, dagli Mp 4 ai forni a micro onde digitali che costano 135 dollari cubani, i cosiddetti cuc. Ma anche set di cacciavite (23 dollari), piccoli elettrodomestici per la casa, attrezzatura per campeggio. La merce è quasi tutta cinese, speso un trionfo del kitsch, dai cani di ceramica ai quadretti fosforescenti che rappresentano paesaggi alpestri o campi di girasole. Questo negozio – oggi chiuso – era una sorta di cattedrale nel deserto re albero di cuccagna contemporaneamente che conviveva con la povertà dei negozi frequentati da gran parte dei cubani. Fuori, a pochi metri, ci sono le bodegas dove per pochi pesos si vendono riso e fagioli neri con la libreta. Oppure antichi cinema che stanno per crollare trasformati in empori dove i cubani che guadagnano gli stipendi in pesos (venticinque pesos equivalgono a un dollaro) trovano abiti riciclati, lampadine, candele, rotoli di carta igienica sfusi e altra mercanzia povera e triste. È solo uno degli esempi tangibili della doppia economia che vige nel Paese. Un medico guadagna circa venti, venticinque dollari al mese; un impiegato quindici. Chi può permettersi quel forno a micro onde? Pochissimi, chi riceve i soldi dai parenti scappati a Miami oppure chi traffica con i turisti, non a caso – le rimesse dall’America e il turismo – le due voci più significative dell’economia cubana”.

- Il passaggio da Fidel al fratello Raul?
È il grande interrogativo per tutti. La gente, all’Havana, sta con il fìato sospeso. Ma non tanto per motivi ideologici. Quanto per il dubbio su ciò che potrà accadere. L’argomento di conversazione primario, fra la gente, è il denaro. Tutti parlano di soldi, dal vecchietto che cerca di venderti la banconota da tre pesos con impressa la faccia del Che per un dollaro, alla jinetera che vende il proprio corpo per comprarsi un paio di jeans europei. Mentre sarò a Cuba, in febbraio, ci sarà (il 23) l’anniversario della morte di Orlando Zapata, un dissidente morto dopo un lungo sciopero della fame. Qualcuno pensa che potrebbero esserci momenti di tensione. Non si sa cosa accadrà. Nonostante le annunciate aperture di Barack Obama verso l’Isla, resta davvero un mistero quale sarà l’evoluzione politica interna. Il vero cambiamento riguarda l’immagine da dare all’estero. I cubani hanno capito che l’importante è l’apparenza. Il centro storico dell’Havana, la parte turistica intorno alla Cattedrale a plaza veja, è ormai un gioiello, peccato che stia trasformandosi in un museo, un luogo interdetto ai cubani: di sera si vedono solo turisti e polizia. Un’altra novità riguarda il maquillage che sta avvenendo sul Malecon, oggetto di un’operazione di restauro, con il contributo di una società tedesca, destinato a cancellare per sempre dalle antiche case che si affacciano sull’oceano quell’immagine di decadenza fascinosa che caratterizzava il leggendario lungomare havanero. Insomma, il tentativo è di dare un’immagine da cartolina rassicurante, di una città rimessa a nuovo, anche se basta percorrere pochi passi, avventurarsi nei vicoli interni, per imbattersi negli antichi palazzi devastati, dai soffitti che crollano, abitati da migliaia di cubani che ogni giorno si rimettono in gioco per inventarsi una vita sempre più difficile.

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