BOMBE A BANGKOK: I THAILANDESI AMANO I THAILANDESI?

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INES TABUSSO
00mercoledì 3 gennaio 2007 00:34

IL FOGLIO
2 gennaio 2006
Bombe a Bangkok. Il leader del golpe fa allusioni a Thaksin

Bangkok. Il colpo di stato che, nel settembre
scorso, ha rimosso (con un sostanziale
placet del re, Bhumibol Adulyadej) il governo
thailandese guidato da Thaksin Shinawatra
è stato del tutto incruento. I nove
ordigni esplosi a cavallo dell’ultimo e del
primo giorno dell’anno nella capitale
Bangkok e negli immediati dintorni (tre i
morti, probabilmente una quarantina i feriti)
imprimono, però, l’inquietante sigillo
della violenza su una situazione politica già
tesa. E accrescono, una volta di più, l’instabilità
che soffoca il paese da molti mesi, fin
dall’inturgidirsi della protesta contro Thaksin,
che pure conserva moltissimi fan soprattutto
nelle aree rurali.
Il governo ad interim guidato da Surayud
Chulanont si è subito affrettato a fornire la
propria versione della serie di attentati che
ha turbato i festeggiamenti per il Capodanno.
Il premier ha detto che, dai primi accertamenti,
“c’è una possibilità scarsa che essi
siano legati alla guerriglia del sud del paese.
Sono legati, più probabilmente, a persone
che hanno perso i loro benefit politici”. Il
governo, quindi, tende a escludere che i responsabili
siano da cercare tra i terroristi
che, ispirati dall’islamismo radicale, lottano
per la secessione di tre province meridionali
a maggioranza musulmana. Il conflitto che
insanguina il sud della Thailandia ha già fatto
quasi duemila vittime, ma, in effetti, non
ha mai lambito Bangkok, in cui peraltro l’esplosione
di ordigni mortali è quasi un inedito.
La cosa più rilevante delle dichiarazioni
governative, però, è la frase riferita a chi
ha perso il potere politico come probabile
responsabile degli attentati. Non necessariamente
un’allusione al precedente governo –
ha detto Surayud, tenendosi sul vago – ma a
coloro che hanno perso il potere nel passato.
Tutti, ma proprio tutti, però, interpretano
le dichiarazioni del governo come un attacco
a Thaksin. Il miliardario ex premier, in
esilio volontario, stava programmando un
suo ritorno in patria, anche per l’avvicinarsi
delle nuove elezioni previste per ottobre,
elezioni a cui non è sicuro se lui stesso e il
suo partito Thai Rak Thai (I thailandesi
amano i thailandesi) potranno partecipare.
Le autorità al potere a Bangkok gli stavano
preparando il benvenuto con un processo
per corruzione, in un clima in cui al tintinnare
delle sciabole del putsch di settembre
sembrava gradualmente sostituirsi il tintinnare
di manette per Thaksin. Il suo avvocato,
Noppadol Pattama, che gli fa da portavoce
in Thailandia, ha detto che Thaksin si trova
in Cina e condanna gli attentati. E ha ricordato
che l’ex premier, anche nei momenti
di conflitto (leggi il golpe), “ha sempre evitato
il ricorso alla violenza”.
Resta il mistero della paternità degli ordigni
che se da un lato erano di scarsa potenza
– secondo il vicecapo della polizia, Ajirawit
Suphanaphesat, sono stati confezionati
“per ferire e non per uccidere”, benché
abbiano ucciso – dall’altro sono stati collocati
per colpire alla cieca nella folla. Per di
più, nei giorni di festa. L’intento di creare un
clima di insicurezza è evidente. E mentre il
governo punta l’indice, dissimulato ma non
troppo, su Thaksin, il paese si avvita in una
nuova spirale di incertezza, in cui le bombe,
che già squassavano il sud della Thailandia,
hanno raggiunto, pur se probabilmente di
mano diversa, anche la capitale, che era riuscita
ad assorbire il brusco cambio di regime
con orientale compostezza. Con un’economia
a singhiozzo, l’instabilità politica che
si chiazza ora anche di sangue, una credibilità
internazionale al collasso e le periclitanti
sorti politiche e giudiziarie dell’uomo più
ricco del paese (cioè quel Thaksin che non
sembra aver rinunciato a un ritorno sulle
scene, perlomeno per “provare la sua innocenza”
nei presunti reati economici), per
Bangkok rischia di annunciarsi un 2007 poco
sereno. I thailandesi, per quanto perlopiù
confusi, sono assai turbati dall’inspessirsi
della crisi. “Mai sanuk” è il commento più
diffuso: “Non è divertente”.









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