ALDO CAZZULLO: VIAGGIO IN FORZA ITALIA ("FACCIAMO LE SEZIONI, COME IL PCI")

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INES TABUSSO
00martedì 26 settembre 2006 00:13

CORRIERE DELLA SERA
24 settembre 2006
Forza Italia, i tormenti del partito (troppo) leggero
Viaggio tra gli Azzurri in cerca di un rilancio.
Dell' Utri: «Facciamo le sezioni, come il Pci»

Ruoli da leader a Carfagna, Gardini, Biancofiore: scoppiano le liti. Dell' Utri: così non va, prendiamo esempio dalle sezioni del vecchio Pci

Qual è il partito che come capogruppo alla Camera preferisce Elio Vito a Giulio Tremonti? Che caccia il segretario di Salerno per sostituirlo con una soubrette? Che vede il segretario di Roma entrare pochi mesi dopo nel governo di sinistra? Che alle amministrative conquista una sola grande città, Milano, e tre mesi dopo mette il sindaco sotto accusa? È il primo partito italiano, che ad aprile ha staccato i Ds di sei punti eppure non ha vinto le elezioni. E ora sembra in bilico tra il ritorno al governo e la deflagrazione, la clamorosa rivincita e la disfatta finale. A forza di predicare il partito leggero, Silvio Berlusconi se ne ritrova in pugno uno evanescente. Forza Italia light. Un illustre ex dirigente la chiama «la sindrome della Carfagna», ed è esplosa quando la bruna Mara, dopo aver conteso a Elisabetta Gardini il ruolo di portavoce e favorita, è stata inviata con Mario Pepe a commissariare la federazione di Salerno. Gli azzurri campani l' hanno vissuta come un' umiliazione personale e, guidati da Alberico Gambino, si sono presentati in massa alla conferenza stampa di insediamento levando un grido di dolore: «Non potete trattarci così!». Per le mille beghe locali di Forza Italia sembra valere il detto che da secoli regola la vita pubblica francese, «cherchez la femme». C' è spesso una donna dietro le liti, le diaspore, gli abbandoni, le guerre di potere. «Ci hanno fatti fuori dalle liste per mettere le attricette amiche di Berlusconi!» ha lamentato l' ex deputato Paolo Dalle Fratte. Ovviamente non è così. Il Cavaliere - spiega chi lo conosce bene - è attento da sempre al fascino femminile, e anche alla componente femminea che avverte dentro di sé e quindi in Forza Italia; non a caso disse di aver ricevuto «il più bel complimento della mia vita quando un tifoso del Milan mi urlò: "Silvio, sei una gran bella figa!"». Per cui, se il capo è maschio, il suo partito dev' essere femmina. Dopo il tradimento di Verzaschi, a Roma la giovanissima coordinatrice regionale Beatrice Lorenzin, speranza bionda di Forza Italia, si è dovuta confrontare con una vecchia volpe come Giampaolo Sodano, già direttore craxiano di Rai2 e segretario della capitale. Alla fine Berlusconi li ha cacciati entrambi sostituendoli con il senatore Francesco Giro; la Lorenzin ha risposto con un messaggio di ringraziamento e ha avuto in cambio la guida dei giovani azzurri, Sodano l' ha presa peggio. Bolzano è in rivolta contro la valchiria Michaela Biancofiore, ideatrice dei manifesti di Berlusconi con dito medio alzato ed erede della leggendaria Giustina Destro, già sindaco di Padova e tuttora nemica della grammatica. La Biancofiore non indovina un accento («dò», «stà», «pò»), stila liste dei più grandi italiani di tutti i tempi con Dante, Leonardo, Michelangelo, Berlusconi e Copernico - che era polacco -, considera comunisti pure gli Schützen e scrive agli elettori: «Lo voglio raccontare con quella mia sincerità sconcertante che mi rende un politico, una politica sui generis: l' elemento di disomogeneità del sistema...». Le politiche sui generis causano anche un sacco di guai. Gli azzurri di Cesano Boscone fermano la candidatura a sindaco di Maria Teresa Ruta. La Carfagna, fatta pace con la Gardini, apre il fronte con la Prestigiacomo: «Il mio caso lo prova, le quote rosa non servono» («La Carfagna parla a titolo personale e non a nome di Forza Italia!» risponde l' ex ministra). Gabriella Carlucci denuncia: «Essere belle nei partiti e in Parlamento è uno svantaggio». Jole Santelli: «È uno svantaggio essere donne, dici una cosa seria e ti danno un buffetto». Non necessariamente sulla guancia. A Torino la contesa tra Enzo Ghigo e Roberto Rosso non ha frenato la naturale baldanza dei funzionari azzurri. Due di loro, G.B. e A.A., sono finiti nel mirino del temuto Guariniello per l' esposto di due segretarie: mobbing e molestie sessuali. Prima le signore avevano scritto a Berlusconi, denunciando «atteggiamenti maniacali verso tutta la componente femminile», «comportamenti vergognosi, immorali, inconcepibili in una sede di partito o in altre», «minacce», «furti di password» e anche «strane chilometriche telefonate in Brasile». Quindi si sono rivolte al magistrato. Nella crepa apertasi a Milano tra Letizia Moratti e i consiglieri comunali di Forza Italia che chiedono «più spazio per il partito del 30%», Berlusconi si è schierato con entrambi, elogiando il sindaco - «È una donna grintosa, io l' ho vista all' opera e so che ottiene quanto vuole» - e nello stesso tempo ricevendo i vertici locali ad Arcore. Intanto la sfida lombarda tra Roberto Formigoni e Paolo Romani è stata vinta non a caso da una signora, Maristella Gelmini, nuova coordinatrice regionale. Se un poco lo fanno dannare, le donne azzurre regalano al presidente pure qualche soddisfazione. Attivissimo a Roma il club «Rosa azzurra», fondato sulla terrazza dell' Hilton con un' indimenticabile cerimonia officiata da Anna La Rosa, dedicato a Rosella Berlusconi, la regina madre, e animato dalle mogli dei dirigenti: Brunella Tajani, Annamaria Pisanu, Annalisa Valducci, Susanna Pescante. Ma sarebbe sbagliato ridurre quanto accade in Forza Italia a folklore politico. È invece uno straordinario esperimento: un partito che non c' è si rivolge alla società civile, e finisce per riprodurla; nelle ambizioni, negli entusiasmi, nelle meschinità. Gli italiani di centrodestra continuano ad accorrere al richiamo di Berlusconi: Marcello Dell' Utri, che di Forza Italia è stato il fondatore, in questi anni ha creato trecento circoli giovani. «Il problema - dice - è che nel partito non contano nulla. Sono una specie di Rotary, che non ha voce nella scelta delle candidature. Così non va. Diciamolo: i circoli nascono sotto il manto della cultura, ma chi ci viene vuole fare politica. Berlusconi pensa al modello dei circoli giovani per radicare il partito, e fa bene. Ma ci vuole anche altro. In giro per l' Italia ci sono più insegne del vecchio Partito comunista italiano che simboli di Forza Italia. In seimila comuni su 8.500 Forza Italia non esiste. Proprio dal Pci dovremmo prendere esempio: facciamo le sezioni anche noi». Dal Pci viene il coordinatore Sandro Bondi. «Ma il modello della nuova Forza Italia saranno l' Spd e la Cdu tedesche. In ogni provincia assumeremo un funzionario che riferirà alla direzione nazionale». Quale direzione? «Appunto: avremo per la prima volta una direzione. Venticinque persone: Pera, Frattini, Pisanu, Scajola, Tremonti; tutte le teste pensanti del partito. Più un comitato che si metterà al lavoro subito per scegliere le candidature alle amministrative dell' aprile 2007: con Dell' Utri, Verdini, Mantovani e Valducci gireremo l' Italia per individuare i migliori. I coordinatori regionali saranno ancora nominati da Berlusconi, ma quelli comunali e provinciali usciranno dai congressi locali. Una rivoluzione. Poi, alla fine del 2007, faremo il congresso nazionale», nella speranza riesca meglio dei precedenti, accostati da Paolo Guzzanti al «compleanno di Kim Il Sung». Ma Bondi e Cicchitto resteranno al loro posto? Dell' Utri: «Sono persone adattissime, perbene». Bondi in effetti l' ha scelto lei. «Anche Cicchitto è bravo: non è un organizzatore, ma ha buon senso e conosce la politica. Dobbiamo cambiare quelli sotto di loro. E cambiarli subito, non tra un anno. Più che dello statuto, bisogna occuparsi degli uomini. Il partito è anchilosato. Ed è anche vecchio, pur avendo solo dodici anni: ci sono ras locali che hanno preso il potere nel ' 94 e non l' hanno ancora mollato. Sono diventati politici di professione. "Blockers", come dicono in America, che cooptano i peggiori e ostacolano l' ascesa dei migliori. Se vuole mi ci metto anch' io...». Anche Berlusconi, se è per questo. Ma lui andare in pensione non può. Che cosa resterebbe di Forza Italia? «Guardi che il sogno di Berlusconi è avere una successione - risponde Dell' Utri -. La sua ambizione è lasciare cose che gli sopravvivano. Per l' azienda non c' è problema. Il problema è il partito. È evidente che oggi il successore non c' è. Ma tra cinque, dieci anni, ci sarà».


IL CASO LAZIO *** Michaela Biancofiore Si ritiene una politica «sui generis»
*** Jole Santelli «È svantaggioso essere donne, dici una cosa seria e ti danno un buffetto»
*** Mara Carfagna È commissaria alla federazione azzurra di Salerno
*** Beatrice Lorenzin, in lizza con Giampaolo Sodano, viene sconfitta da Francesco Giro per il ruolo di coordinatore. Ma va alla guida dei giovani azzurri
*** IL CASO MILANO *** Tensione a Milano tra Letizia Moratti e Forza Italia. Il premier elogia il sindaco: «È una donna grintosa, so che ottiene quanto vuole»
*** IL COMPLIMENTO *** Il complimento più bello mai ricevuto, sostiene il Cavaliere, arrivò da un tifoso del Milan, che gli urlò: «Silvio, sei una gran bella f...!»




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CORRIERE DELLA SERA
25 settembre 2006
Viaggio in Forza Italia
L'arma dei quarantenni e i duellanti
Tutti contro tutti dal profondo Nord alla Sicilia Intesa Dell'Utri-Guzzanti: opposizione distruttiva
Aldo Cazzullo

Tutti contro tutti. Lo schema, più o meno, è questo ovunque. In Sicilia: Micciché contro Schifani, vince Alfano; in Piemonte: Rosso contro Ghigo, vince Crosetto. Sfide tra cattolici e uomini-azienda, come Roberto Formigoni-Paolo Romani in Lombardia e Giorgio Carollo- Giancarlo Galan in Veneto: anche in questo caso arriva il commissario, l'avvocato Nicolò Ghedini, che Carollo accosta a Nerone e Mladic: «È stata messa in atto una lucida e premeditata pulizia etnica!». A Napoli lo scontro è tra gli uomini di Elio Vito e quelli di Antonio Martusciello, le cui doti intellettuali gli hanno procurato nel tempo vari estimatori da Lucio Colletti — «Martusciello, che ciervello!» — a Paolo Cirino Pomicino — «La sua povertà politica e culturale è impressionante» —; non per questo vacilla la fedeltà dei sei consiglieri comunali a lui vicini, che rifiutano il capogruppo scelto da Vito, amabilmente definito «il burattinaio». Il coordinatore della Toscana Denis Verdini, poi, si è trovato di fronte il più temuto dei nemici: l'avvocato Taormina, ulteriormente incattivito dalla mancata ricandidatura. «Verdini ha condotto il partito alla disfatta più clamorosa! Una caduta verticale che non ha pari in Italia!» l'ha incalzato l'uomo di Cogne. Il coordinatore ha tentato di metterla sul piano fisico: «Avessi vent'anni risolverei la questione a modo mio». Forse per calmarlo, Berlusconi gli ha affidato un progetto di ristrutturazione del partito, con un'unica indicazione: «Mi raccomando, una cosa semplice, agile, operativa». Oltre duecento pagine piombate. Dopo averlo letto, il Cavaliere ha chiamato il fido Bruno Ermolli chiedendogli «qualcosa di travolgente», o almeno di breve. In realtà, le sfide locali sono il sotto-clou del vero grande scontro che infuria fin dalla nascita di Forza Italia, tra il fondatore, Marcello Dell'Utri, e l'organizzatore, Claudio Scajola. Dell'Utri è legato a Berlusconi da un rapporto quasi mistico, al Senato gli si sedeva di fronte e lo fissava con la stessa intensità con cui i due amici giravano in macchina fuori da San Vittore per comunicare a Brancher in carcere la volontà di resistere (resistette). Scajola è un gran lavoratore, di quelli che strapazzano i sottoposti e rassicurano il capo.
Al Viminale fu un mezzo disastro, da Genova a Cipro: dopo l'insulto a Marco Biagi Il Foglio chiese le dimissioni del «ministro della malaparola», e Berlusconi gli tolse gli Interni per affidargli le campagne elettorali, senza grandi risultati però. Fino a quando il Cavaliere telefonò sul Barbarossa, dove Previti e Dell'Utri regatavano con il grande vecchio Lino Jannuzzi, per avvertire che «Scajola lascia il partito e torna al governo ma senza portafoglio», da ministro per l'attuazione del programma. A bordo si brindò. Cominciava l'era di Bondi. I retori dei «cieli azzurri» e del «partito di plastica» hanno scritto su di lui ogni cattiveria, ma un insospettabile come Giuseppe De Rita l'ha definito «uno dei politici più intelligenti d'Italia», con un solo, vistoso limite: patisce fisicamente il capo; all'inizio, impallidiva e sudava alla sua sola presenza; poi lavorando ad Arcore ha preso l'abitudine. Il vice è Fabrizio Cicchitto, che Berlusconi considera un Tigellino minore, grande esperto di trame di Palazzo, auscultatore di umori parlamentari, interprete di pettegolezzi e ambizioni. Nessuno dei due però ha la spietatezza necessaria per domare le beghe locali. E siccome l'unico collante di Forza Italia, a parte il potere, è Berlusconi, chi rompe con lui è fuori e si mette in proprio. Così in Liguria l'ex governatore Biasotti ha un minipartito e tre consiglieri regionali, proprio come l'ex coordinatore Carollo in Veneto. Nel marasma generale, ognuno fa da sé. A Como hacker listano a lutto il sito azzurro per protestare contro l'esclusione dal Parlamento dell'on. Mario Alberto Taborelli. A Varese le divisioni interne paralizzano per settimane il consiglio comunale. A Lucca viene espulso dal partito Pietro Fazzi, che ha vinto due mandati da sindaco ma ha litigato con il potente concittadino Marcello Pera («Voleva che vendessi la municipalizzata del gas all'Enel»). Solo a luglio sono partiti da Roma commissari per Torino, Messina, Agrigento, Salerno, Napoli.
A Castiglione delle Stiviere un avvocato si scopre iscritto a sua insaputa e manda i carabinieri in sezione: le tessere sono 830, più di una ogni 5 abitanti; almeno 20 sono fasulle. Cadono veloci le teste, dall'ex governatore del Friuli Antonione all'ex ragazzo prodigio Pili. Pure Apicella ha appreso di aver stancato una parte dei parlamentari, e c'è rimasto male: «Proprio non me lo merito — s'è sfogato con Fabrizio Roncone del Corriere —. Invidia? Non penso. Sono onorevoloni, senatoroni... come possono essere invidiosi di un cantante come me?». Il ricambio invocato da Dell'Utri è visto con favore anche da Giulio Tremonti, che incoraggia l'ascesa dei quarantenni del Nord — Guido Crosetto, Maurizio Lupi, Luigi Casero, Benedetto Della Vedova — affezionati all'idea antistatalista che tiene agganciate Forza Italia e Lega. Tra i giovani spicca pure Giorgio Stracquadanio, che rifiutandosi di votare con l'opposizione in tema di cellule staminali ha dato la vittoria — per un voto, il suo — alla maggioranza e s'è beccato la ramanzina degli anziani: «Se non obbedisce neppure un novellino, che fino a ieri stava a palazzo Grazioli a fare la rassegna stampa di Berlusconi, siamo spacciati». Quanto a Cicchitto, che quando i quarantenni erano al liceo si faceva le ossa nel Psi e altrove, ammonisce: «In politica conta l'intelligenza, e l'intelligenza ci può essere a vent'anni come a ottanta». Lui non ne ha ancora 66. Oltre a uomini nuovi, ci sarebbe poi da scegliere la linea. «Finora vedo solo tante rette spezzate» ride Dell'Utri. Il Foglio titola: «Opposizione per la grande coalizione». Ma l'idea è sempre più impopolare; al contrario di quanto si dice, la esclude pure Tremonti, che la considera impossibile causa debolezza della sinistra riformista. Ieri Berlusconi, ringalluzzito dalle difficoltà del governo, è parso sposare la linea Guzzanti, sintetizzata così dall'ideatore: «Basta con un'opposizione "costruttiva e responsabile", come si sente ripetere. Io sono per un'opposizione distruttiva e irresponsabile.
L'elettorato di Forza Italia ha digerito a stento il voto sull'indulto, ma non quello sul Libano. Le situazioni locali, tranne eccezioni, sono disastrose dappertutto. Ma è più grave lo scollamento tra l'elettorato e il partito — dice Guzzanti —. Tra il 2001 e il 2006 abbiamo perso due milioni di elettori: gente che si sente abbandonata, frustrata, presa in giro. Da quando ho cominciato a scrivere queste cose ho ricevuto migliaia di mail, soprattutto dal Nord, e anche una telefonata di Berlusconi. Temevo fosse arrabbiato, invece è stato gentile; ma non so se l'ho convinto. Lui dice che nei sondaggi siamo molto avanti. È possibile, ma se non cominciamo a dare voce agli scontenti, a creare un vero dibattito interno, a dividerci, a votare sulla linea, a portare in Parlamento la voce dei nostri elettori, a rappresentare i rivoluzionari traditi, a scendere in piazza, rischiamo di non farcela». Sandro Bondi consiglia moderazione: «Il muro contro muro giova a Prodi, non a noi». Ma Dell'Utri: «Io sto con Guzzanti. Opposizione dura». Da quando è sfumato il partito unico, anzi «il partito salsa e merengue di Adornato» (la definizione è di Tabacci), gli azzurri non hanno più molta voglia di inseguire Casini, che ormai considerano il nuovo Follini. «Per me esiste un unico partito, Forza Italia — chiude Dell'Utri —. Pensano di spaventarci con il conflitto di interessi? Facciano la legge, speriamo che sia giusta, e che sia approvata. Berlusconi è più che mai in campo. Il mio istinto mi dice che tornerà a Palazzo Chigi. È il nostro sogno». Come grida mago Merlino in Excalibur, capolavoro di John Boorman: «Un sogno per alcuni, un incubo per altri».


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